Per costruire la Città nuova

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Siamo noi i costruttori della città di Dio in terra. La costruiamo con il disegno e la sapienza dell’eterno Amore, ma valendoci dei materiali umani: della ragione, per salire alla religione, dell’arte per cogliere faville della bellezza empirea, della scienza per sondare le meraviglie del cosmo, della tecnica per utilizzare le forze messe a disposizione dal Creatore. Tutto il nostro lavoro, fatto con questo intento, diviene una produzione di beni celesti, un contributo alla edificazione della chiesa: diviene una preghiera. L’incarnazione, associando in unità di persone il divino e l’umano, ha valorizzato l’umano per il divino, e lo ha quasi consacrato: ne ha fatto materia prima per la edificazione del Regno di Dio. Ha consacrato la fatica sulla zappa e sulle carte, il sacrificio della madre nella casa, il silenzio della suora nel chiostro, la politica e l’economia, il dolore e la stessa morte. E questo è sostanzialmente il sacerdozio regale di ciascuno di noi. Ciascuno di noi nel rapporto coi fratelli evoca Cristo, dona Cristo, e nell’esercizio delle sue funzioni umane concorre a edificare Cristo. Cristianizza cosi la società, clarificando l’ambiente in cui lavora. Vedendo lui, vedendo il frutto del suo apostolato, fatto di vita prima ancora che di parole, gli estranei capiscono Cristo: vedono Cristo. Dove nuclei di cristiani così operano, costruendo la città nuova, il mondo, come predisse Gesù, “crede”. Anche il mondo antico si convertì vedendo come operavano i nuclei di battezzati in mezzo alla città pagana. È, questa, una vita che, mentre esercita un’azione sociale, è essa stessa prodotta da una fusione d’anime, dove culmina l’unificazione sociale. Una vita che, risultando dal sacrificio dei singoli, assume un carattere di collaborazione a corpo mistico. Scomparendo noi, uno per uno, in essa, balza fuori non un santo, ma il Santo: Gesù. Allora la massa, dopo essersi evoluta in popolo, si sviluppa in chiesa; allora la società viene a coincidere in qualche modo con lo stesso corpo mistico di Cristo. «E vidi un nuovo cielo e una nuova terra», narra l’apostolo Giovanni. E la sua visione fu partecipata anche al suo compagno di divina avventura (ricordate, al sepolcro di Cristo?), san Pietro, che vide anche lui i nuovi cieli e una nuova terra «dove la giustizia abita». Ci abita Gesù che è la carità: dunque la giustizia, che dalla carità discende. Ed ecco il principio della riforma sociale: né individualismo né collettivismo, ché in quello si disintegra la società, in questo si sommerge la persona; ma comunione. Questa vale a mettere in comune – in mezzo – beni dello spirito e beni del corpo; rovesciando tutti gli sbarramenti, nei quali sono murati gli egoismi. Vale a trasferire la consociazione umana al livello della chiesa, nella quale – come insegna Gregorio il Grande – viviamo gli uni con gli altri, gli uni per gli altri, gli uni degli altri. In essa, corpo di Cristo, ognuno come membro, è partecipe della sua divinità, in analogia con quanto avviene nell’unità dell’Ostia santa, di cui ogni frammento è Cristo. La convivenza vera, la «vita più abbondante», è trinitaria, a immagine di quella delle persone divine: perché è fatta anche in terra, da tre persone: Dio, il fratello e io. Finché fra essi circola l’amore – lo Spirito Santo – nel fratello e in me circola la vita di Dio: passa Dio che è la vita. Se manca l’amore, il passaggio della vita s’allenta o si arresta e si entra nella morte. Ecco perché la legge di questa convivenza umana e divina si riassume nell’amore.

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