Pensare plurale

Pensare plurale
L’orizzonte sembra nebbioso. Nella società odierna, in special modo quella occidentale, si avverte un declino dei valori, con contemporanea affermazione dell’individualismo, per cui ogni regola appare tabù ed è (spesso) rifiutata. Ma se l’oggetto di studio, la società, sembra essere in crisi, forse anche il soggetto che la studia, il sociologo, il professionista del sociale, non se la passa molto meglio. Anche perché per spiegare un fenomeno complesso come l’attuale c’è necessità di idee e strumenti nuovi. I lettori di Città nuova hanno già avuto modo di conoscere la piccola, ma composita comunità scientifica di Social-One (vedi Città nuova n. 08/2007), un gruppo internazionale di sociologi e studiosi del sociale impegnati nella riflessione e nel confronto su questi temi, soprattutto attraverso ascolto e apertura reciproca. Obiettivo primario è interpretare la realtà e intervenire nel sociale prendendo spunto dal patrimonio spirituale e culturale del carisma dell’unità che anima il Movimento dei focolari. Un lavoro di approfondimento iniziato da alcuni anni e che ora sta evidenziando inedite prospettive, originali sia nei contenuti che nel metodo. L’ultima tappa in ordine di tempo è un modello interpretativo abbastanza ardito: l’agire agapico. Le analisi sociologiche sono sempre state un po’ allergiche ai discorsi sull’amore. Se si tratta di quello a buon mercato, non c’è problema, le scienze sociali ne hanno interpretato tutte le dimensioni possibili. Ma sull’amore che porta alla relazione, al dono di sé, alla condivisione di un destino, le analisi sono rare e timide. Ed allora… incontriamoci e parliamone! Questo, più o meno, l’invito di Social-One a cinquanta sociologi, ricercatori e professionisti del sociale provenienti dall’Italia, ma anche da Malta, Slovacchia, Brasile e Argentina per dissertare su Agire agapico e scienze sociali. Invito concretizzatosi in un convegno dello scorso giugno. Incontriamo alcuni dei protagonisti: Michele Colasanto, direttore del dipartimento di Sociologia dell’Università cattolica di Milano, Tiziano Vecchiato direttore scientifico della fondazione Zancan di Padova e Gennaro Iorio, ricercatore sociologo dell’università di Salerno. Prof. Colasanto, la proposta avanzata da Social-One, come si colloca nella prospettiva delle scienze sociali? Si tratta di riprendere il filo di una riflessione che non è assente nella tradizione sociologica, a partire dal pensiero potente di Sorokin, recuperando però la specificità delle relazioni umane tramite categorie quali responsabilità, riconoscimento dell’altro, rispetto, reciprocità. Qual è stata la reazione del mondo scientifico ed accademico? C’è stata qualche reazione di sufficienza, ma più frequentemente curiositas, interesse, desiderio di comprendere e confrontarsi. Dott. Vecchiato, oggi i grandi disegni di organizzazione della società sono in crisi. Le politiche sociali, per esempio, sono spesso ridotte alla gestione dell’emergenza. L’agire agapico cosa suggerisce? I grandi disegni nascevano dalla fiducia e, in certi casi, dalla presunzione di poter fare tutto nuovo. Ma le radici umane, di valori, culturali che hanno dato forma ai sistemi di welfare, di stato sociale, non solo nel nostro Paese, sono appunto radici, cioè fondamenti. Non si può pensare all’innovazione senza tenerne conto, senza cioè misurarci con le loro contraddizioni e la loro forza. Nel caso delle politiche sociali questo è molto evidente. Il nostro Paese fa fatica a pensare oltre assistenza, beneficenza e risarcimento per quello che non si fa. Fatichiamo a credere nelle persone, nella condivisione di responsabilità e solidarietà, pensando ai bisogni di tutti e, nello stesso tempo, dando priorità ai più deboli, agli ultimi della fila. L’agire agapico chiede di pensare in termini plurali, allargando i confini del proprio spazio di vita per aprirlo ad ogni persona, farne spazio e occasione di nuovi modi di stare in società. Le scienze sociali sembrano aver perso la capacità di essere strumento conoscitivo rivolto anche all’applicazione pratica… La vera conoscenza scientifica è quella che coniuga le risposte che nascono dalla conoscenza con i frutti, cioè con quanto quella conoscenza è capace di dare risposte pratiche, quotidiane ai problemi umani. L’albero che non dà frutto ha un triste destino. Se quindi una scienza si sente appagata dalla propria capacità di pensare e di leggere i problemi, senza misurarsi con le possibili soluzioni, è una scienza poco orientata all’umanità, è autoseduttiva; in certi casi, potremmo dire, a rischio di autismo intellettuale. Il fatto che altre scienze si siano utilmente misurate con questi problemi può dare fiducia per una rinnovata ricerca sociologica. Chi è l’homo agapicus? È una astrazione utile per interrogarsi sull’umanità attuale, i suoi diversi volti, per capire dove sta andando. Ma può anche diventare un ostacolo se il cerchio dell’attenzione si chiude intorno alle caratteristiche di questo individuo, inteso come tipo ideale. Anzi, il fatto stesso di pensarlo in termini singolari può mettere in ombra la sua dimensione reale, sociale, in uno spazio di vita fatto di separazioni, ma anche di potenzialità di fratellanza. Già l’illuminismo l’aveva intuito, ma poi non l’ha approfondito. Ha prevalso la libertà e l’uguaglianza senza fraternità. Oggi siamo più capaci di evitare le trappole di queste semplificazioni, frutto del pensiero votato ai grandi cambiamenti. L’idea di azione agapica ci aiuta a pensare in termini plurali. Dott. Iorio, quali passi sono in programma per il prossimo futuro? Sul piano della ricerca teorica la prima esigenza è costruire un lessico comune per i concetti, gli autori di riferimento, gli ambiti di analisi dell’agire agapico. In secondo luogo, poi, c’è necessità di fare ricerca empirica, andare sul campo, sporcarci le mani nell’inchiesta concreta. A volte sembra che le scienze sociali abbiano sostituito i personaggi teorici alle persone concrete, con le loro azioni, comportamenti e senso condiviso. Ma prima di ogni programma è necessario costituire una comunità scientifica fatta di ricercatori che mettono in comune le loro conoscenze, che si aiutano in maniera collaborativa a maturare campi di indagine nuovi, ma anche capaci di condividere valori, visioni del mondo, pratiche di vita. È importante riconoscere che la conoscenza è una scelta di vita nella quale ciascuno è responsabile del cammino che l’altro sta facendo. Gli storici della scienza ci hanno rivelato questo aspetto vitale che spesso sembra essere celato nella pratica dei dipartimenti universitari, troppo spesso chiusi nella frammentazione, nello specialismo scientifico e nella burocratizzazione delle pratiche. Senza comunità nuova non c’è azione e istituzione nuova. E questo vale anche per la ricerca.

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