Pellegrini e ambasciatori

Vedere oltre gli schemi ciò che queste pietre possono dire. Dal blog “In dialogo”

Sono da tre giorni a Gerusalemme. Una città davvero unica. Quest’anno sono passati 4 milioni di pellegrini, più di una città come Roma. E’ una città con una grande vocazione, non solo per il passato, ma anche per oggi. Un anno fa Gerusalemme è entrata a far parte di una rete di città che sono mete di pellegrinaggi, per poter accogliere la gente che viene per vedere, per sapere, ma anche soprattutto per pregare.

 

Ma quello che Gerusalemme chiede è un contributo di reciprocità. Questi pellegrini, una volta accolti, potrebbero diventare ambasciatori di Gerusalemme, proponendo un’immagine diversa da quella di cui spesso si parla, fatta solo di conflitti e divisioni. Tutto questo, certo, esiste, ma è anche vero che si sente di essere in un luogo unico nella storia del mondo, un luogo di incontro, più che di scontro, un luogo che ciascuno di coloro che passano può contribuire a costruire qui in Israele e, poi, nel mondo.

 

Ma è necessario dimenticarsi ciò che ciascuno si porta dietro. Non ce ne rendiamo conto, ma siamo tutti vittima di fenomeni che non ci permettono di vedere. Proprio queste righe che ho letto oggi, qui a Gerusalemme, hanno provocato in me una profonda revisione. L’antropologo Roger Bastide penso dipinga l’immagine di ciascuno di noi. Gerusalemme ci può aiutare ad uscire dalla ristrettezza del nostro mondo per entrare in quello dell’altro e del diverso. Queste righe potrebbero raccontare la storia di Gerusalemme, ma anche quella mia e di ciascuno di noi che passa su queste pietre.

 

“[…] gli individui tendono a radicarsi in un territorio, a barricarsi dietro i muri di una casa, a distinguere i “propri” dagli “altri” […]. In un certo senso la storia del mondo è quella di un restringersi progressivo dei rapporti umani, soprattutto da qualche secolo in qua. Ma oggi, con il progresso dei mezzi di trasporto e delle tecniche d’informazione, l’universo si è bruscamente rimpicciolito; le distanze hanno cessato di essere un ostacolo ai contatti tra gli uomini più diversi […] Si potrebbe sperare che questo moltiplicarsi degli incontri e dei contatti faccia approdare finalmente al trionfo della fraternità mondiale, al sentimento della nostra unità, della nostra responsabilità comune […] Ed invece approfittiamo di questi contatti con un atteggiamento squadrato da una mentalità da compartimento stagno. Ed anche quando viaggiamo, portiamo nei nostri bagagli i nostri pregiudizi, le nostre ignoranze, le nostre difficoltà di uscire da noi stessi, se non addirittura i nostri sogni di potenza o d’egemonia, oggi che la colonizzazione è finita. Ne viene che il moltiplicarsi dei rapporti tra popoli e culture non sfoci il più delle volte che nel moltiplicarsi delle barriere e delle incomprensioni”.[1]

 

Sta a me, sta a noi essere dalla parte della soluzione non da quella del problema.

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