Pedro Sánchez nuovo premier

Nuovo premier dopo la sfiducia decretata contro Mariano Rajoy. Il leader del Partito socialista spagnolo ora si trova a dover costruire un governo con Podemos, baschi e catalani. Ci riuscirà?

Il primo giugno 2018 è una data da segnalare in grassetto nell’attuale tappa democratica spagnola che il prossimo 14 giugno compirà 41 anni. L’episodio è nuovo ed è altresì una novità: per la prima volta una “mozione di censura” (qualcosa di simile all’impeachment della tradizione anglosassone) è riuscita a «cacciare via» il primo ministro e a sostituirlo con il candidato proposto dal meccanismo previsto nella Costituzione spagnola, che recita così: «Il Congresso dei deputati può esigere la responsabilità politica del governo mediante l’adozione per maggioranza assoluta della mozione di censura (…) proposta da almeno la decima parte dei deputati». Tre mozioni di censura avevano trovato spazio in questa breve tappa democratica: 1980 contro Adolfo Suárez (primo premier), 1987 contro Felipe González (terzo) e 2017 contro Mariano Rajoy (sesto), ma nessuna aveva avuto successo.

Il candidato proposto da questa riuscita mozione, promossa dal partito socialista (Psoe) è un personaggio ormai conosciuto nell’ambito internazionale, Pedro Sánchez, attuale segretario generale del Psoe. Candidato alla presidenza del governo nelle ultime elezioni generali, quelle del 2015 e le successive del 2016, fu pure protagonista di una novità parlamentare: fu la prima volta che un candidato non riuscì a essere investito capo del governo. Le tensioni all’interno del proprio partito nel contesto dei conflitti con la Catalogna lo portarono poi a dimettersi da segretario generale e pure ad abbandonare il suo seggio nel Parlamento. Mesi dopo, mediante un travagliato processo interno e una consultazione alle basi del Psoe, Sánchez è tornato alla segretaria generale, quando ormai il Psoe aveva permesso con la sua astensione che Mariano Rajoy (Partito popolare) prendessi le redini del governo.

Trascorsa la metà dell’attuale legislatura, il governo dei popolari si è visto intrappolato nei nodi della corruzione tessuti da molti membri del suo partito (Pp) che in passato si sono arricchiti in modo fraudolento, costituendo una vera rete illegale. Così il risultato della sentenza dettata dai giudici che per dieci anni hanno studiato i diversi casi raccolti nella conosciuta come “trama Gürtel”. La sentenza è stata pubblicata il 24 maggio e il giorno dopo il Psoe, per un imperativo etico, si faceva avanti con la mozione di censura: non si può permettere che un partito con un tale fardello di corruzioni alle spalle continui a governare. Numerosi analisti, però, hanno visto in questa manovra una rivincita di Sánchez per arrivare alla presidenza dalla porta di servizio, visto che non vi era riuscito col supporto delle urne. Dunque, come è stato ricordato più volte durante il dibattito parlamentare prima delle votazioni, Sánchez arriva alla presidenza del consiglio dei ministri senza essere stato eletto nelle urne e pure senza occupare nel momento presente un seggio alla Camera.

Difficile è stato per il Pp governare durante gli ultimi due anni. Rajoy ha voluto chiarire durante il dibattito che i membri del suo partito condannati per corruzione erano stati espulsi dal partito, che i fatti ora condannati erano accaduti anni fa e che né lui né i membri dell’attuale governo erano stati messi sotto accusa. Ma il peggio ora si prospetta proprio per il “vincitore” Psoe. È vero che in quest’occasione, per «cacciar via Rajoy», l’accordo con l’altro partito di sinistra, Podemos, e coi vari piccoli partiti nazionalisti baschi e catalani, era scontato. «Ma ora, quali possibilità di governo stabile si prospettano?», si chiedono tanti analisti. Quali concessioni è pronto a fare Sánchez per tenere dalla sua parte gli indipendentisti catalani, ad esempio, sapendo che il Psoe si è schierato con Rajoy per difendere il costituzionalismo negli ultimi mesi? È una delle domande nella testa di tutti gli spagnoli, ed è la domanda udita durante il dibattito cui Sánchez non ha voluto o saputo rispondere.

Bisogna anche dire che nel successo di Sáchez sono stati decisivi i cinque voti del Partito nazionalista basco (Pnv), senza i quali non avrebbe raggiunto i 176 voti per ottenere la maggioranza assoluta. A loro ha promesso nel suo primo intervento di non toccare il Bilancio previsionale dello Stato, approvato proprio un giorno prima della sentenza sulla trama Gürtel. Il bilancio, appunto, era stato approvato con l’aiuto del Pnv, che così attirava per la sua comunità autonoma una bella manciata di milioni. Ma ora, come farà Sánchez a manovrare con delle misure che il suo partito e il resto degli alleati nella mozione avevano rifiutato? C’è chi, analizzando lo svolgimento degli avvenimenti nell’ultima settimana, e anche negli ultimi mesi, ha ricordato la «liquidità» di Zygmunt Bauman, qui declinata come liquidità politica. Infatti, non sono mancate accuse durante il dibattito della mozione, e anche mancanza di fiducia, a ricordare a tutti deputati che in politica le alleanze rispondono a interessi puntuali.

Venerdì 1º giugno, alle 11 e 30, un sereno e più moderato di un tempo Pedro Sánchez ha udito un coro di voci proveniente dal blocco di Podemos che i socialisti hanno assecondato con gioia: «Sí se puede», cioè «sì, si può», che ricorda l’ormai classico «we can» e che appunto dà nome al nuovo partito della sinistra Podemos. Perché questo era uno dei punti del suo programma elettorale: cacciar via dal governo il corrotto Pp.

I più letti della settimana

Tonino Bello, la guerra e noi

Mediterraneo di fraternità

La forte fede degli atei

Edicola Digitale Città Nuova - Reader Scarica l'app
Simple Share Buttons