Pediatri sentinella in rete

Che in Italia si possa ancora morire di morbillo o di rosolia in gravidanza potrebbe sembrare improbabile e invece è possibile. Casi circoscritti, è vero, ma pur sempre rilevabili, anzi rilevati. Ne hanno parlato di recente a Roma, presso l’Istituto superiore di sanità (Iss), alcune centinaia di pediatri, operatori del settore, nonché rappresentanti autorevoli dell’Istituto, riu- niti per un motivo ben preciso: fare il punto della situazione a quattro anni dalla nascita di Spes che seppur nel suo nome evochi la speranza (e in effetti c’è di che) vuol dire “Sorveglianza pediatri sentinella”. Un’esperienza innovativa oltre che significativa di cosa può produrre il lavoro in sinergia tra le diverse componenti che in vario modo hanno il compito di garantire la salute pubblica. In questo caso dei bambini. Tutto nasce dalla firma di un protocollo che, stando agli addetti ai lavori, ha un po’ dello straordinario in quanto riesce a mettere insieme le tre maggiori associazioni rappresentative della pediatria di famiglia e l’Iss, con il contributo di un epidemiologo della Asl di Benevento. Non sempre infatti il dialogo fra i soggetti appena citati è operativo. Quello che in questo caso fa la differenza è una forte volontà da parte di tutti di arrivare ad uno scopo ampiamente condiviso e che, si capisce, non si può raggiungere da soli. Così infatti racconta Raffaele Arigliani, pediatra di Benevento, che da anni nel lavoro come nella vita si ispira ad uno stile non individualistico: “Nel 1999, anno in cui nasce Spes, i rapporti tra le tre associazioni erano stati, storicamente, non proprio di collaborazione. Comunque mai vi era stata un’iniziativa che avesse riunito, con contributi paritari, le tre associazioni con l’Iss. Il ritrovarsi intorno ad un tavolo e discutere di come coniugare le rispettive sensibilità associative con quelle espresse dal più importante centro culturale di sanità pubblica, fu già un primo successo “. E qui viene in rilievo l’efficacia di quel lavoro a team di cui abbiamo parlato nello scorso numero. “Da subito un aspetto ha caratterizzato Spes – continua il dott. Arigliani -: i componenti del coordinamento erano fortemente radicati nelle proprie realtà associative con ruoli di primo piano ma questo non ha impedito di fare con Spes l’esperienza di essere una sola squadra”. E quale il metodo di lavoro? “Non è che siano mancate le discussioni animate – precisa il nostro pediatra -, ma si procedeva su un obiettivo solo se si era tutti d’accordo. Per fare questo non sono mancati spesso sacrifici individuali, a volte consistenti nel fare un passo indietro nella visibilità personale, o qualche altra nel rinunciare a ridurre le ambizioni di estendere il campo di intervento di Spes ad altre iniziative. Ma l’essere innanzitutto un corpo unito ci ha senz’altro permesso di poter parlare alle varie associazioni e quindi all’intero mondo della pediatria italiana e al mondo della sanità pubblica con la forza che nasce dall’essere tutti una stessa voce”. Dall’incontro dunque tra professionisti di buona volontà stimati nelle rispettive associazioni ed esponenti dell’Iss sensibili e lungimiranti, l’idea prende corpo, si materializza. Anche perché poco prima vi era stato un precedente di tutto rispetto. Facciamo un passo indietro, nel 1998, e trasferiamoci nella Asl di Benevento. Ecco i dati: copertura vaccinale per il morbillo uguale al 25 per cento; guerra aperta tra pediatri e centri vaccinali, con serie incomprensioni su tutto, dal calendario all’opportunità di praticare o meno le vaccinazioni facoltative. Una situazione che qualcuno sintetizzava in una parola: gelo. Come romperlo? Cominciando ad incontrarsi tra responsabili della Asl e rappresentanti dei pediatri di famiglia, avviare un dialogo tra pari, pur nelle diverse responsabilità. Poi progettare le azioni realizzabili Inoltre concordare calendari e tipologia di vaccini. I pediatri prendono così un impegno semplice ma efficace: scrivere su un modulo i casi di bambini che si ammalano di pertosse, morbillo, parotite, rosolia e varicella, annotare se sono o meno vaccinati e con quale vaccino, farlo avere alla Asl che avrebbe valutato i dati e diffuso i risultati. Ecco dunque la nascita dei pediatri sentinella a Benevento, con un metodo di lavoro fatto di analisi di dati incrociati che ben presto, ad esempio, ha portato al ritiro dal commercio di un certo tipo di vaccino contro la parotite perché poco efficace. Niente di più convincente di un esperimento riuscito. Quanto successo a Benevento dimostra ai “pediatri sentinella” che è possibile lavorare in sintonia con la Asl e a sua volta alla stessa azienda sanitaria fa vedere come sia importante un’azione svolta in sinergia con il territorio. Un successivo risultato? La copertura vaccinale contro il morbillo oggi nel territorio di Benevento è arrivata al 90 per cento. La soddisfazione fa nascere una nuova idea: estendere questo tipo di progetto su territorio nazionale. D’al- tra parte l’Iss sta cercando delle modalità perché la sorveglianza sul territorio divenga attiva ed inoltre anche in varie regioni italiane esistono delle attività realizzate in rete. Mettete insieme tutti questi elementi e la tenacia di alcuni che in quella che poi è diventata la Sorveglianza dei pediatri sentinella ci hanno creduto ed ecco Spes, oggi al suo quarto anno di vita. Al suo attivo già un grande sforzo di monitoraggio delle malattie prevenibili mediante vaccino e un’adesione, volontaria e gratuita, superiore alle aspettative di oltre 700 pediatri ad oggi, da tutte le regioni italiane. “Insomma, valeva la pena mettersi in gioco per avviare quest’esperienza?” chiedo al dott. Arigliani, apripista oramai riconosciuto di Spes. “Se con Spes abbiamo capito l’importanza di essere in rete per raccogliere informazioni dall’attività quotidiana tale da produrre cultura scientifica e risposte ai bisogni talora inevasi dei nostri utenti, direi di sì” Mi piace molto usare come esempio del nostro operato un quadro di Wassily Kandinsky. Rappresenta due personaggi stilizzati il cui equilibrio nasce dal fatto che non rimangono chiusi in sé stessi. Al contrario sembra vogliano andare l’uno verso l’altro. Ad un primo sguardo può sembrare che in questo tentativo di incontrarsi ciascuno perda parte della propria identità. Ma il risultato finale è che da questo sforzo nasce armonia e bellezza, mentre ciascuno conserva comunque la propria visibilità, a questo punto però esaltata dall’essere costruttori e parte di un qualcosa che va al di là di sé stesso. Mi piacerebbe pensare che sempre più i pediatri e gli operatori di sanità pubblica possano accrescere la propria capacità di incontrarsi e lavorare insieme, nell’interesse dell’infanzia e della cultura scientifica”. MARTA CIOFI SIAMO CONTENTI DEI RISULTATI OTTENUTI A colloquio con Marta Ciofi degli Atti, dell’Istituto superiore di sanità, tra i fondatori di Spes. Gli obiettivi di Spes nascono sicuramente da determinate aspettative. Quali sono le domande a cui la rete dei “pediatri sentinella” vuole rispondere? “L’esigenza fondamentale risiede nel fatto che è necessario per questo tipo di malattie avere informazioni accurate e valide in tempi rapidi. Sappiamo che tutti i medici, pediatri, medici di famiglia, medici ospedalieri, se diagnosticano una malattia infettiva, hanno l’obbligo di segnalarla alla Asl che dovrebbe fare un’indagine sul paziente per capirne le cause ed evitare altre trasmissioni. È chiaro però che spesso non basta l’esistenza di una legge per determinare un comportamento conseguente. Da qui l’affiancamento di sistemi più snelli che coinvolgono solo un campione rappresentativo. In questo senso Spes, essendo un sistema volontario, cui partecipano pediatri motivati, aiuta nella tempestività la notifica, anche se non si sostituisce a quella obbligatoria”. Perché si dibatte tanto sull’opportunità o meno di certe vaccinazioni? “In parte noi paghiamo lo scotto di una politica italiana che ha visto l’introduzione di alcune vaccinazioni con obbligo di legge – alcune risalgono al ’34 in cui era normale avere dei trattamenti sanitari obbligatori -, mentre altre sono state sempre raccomandate ma non sono mai divenute obbligatorie. Questo ha creato una sorta di doppia cultura in cui convivono vaccinazioni di serie a e altre di serie b, mentre in realtà sono tutte importanti. Anzi, al momento attuale il rischio è maggiore per le malattie prevenibili con vaccinazioni non obbligatorie perché le altre le abbiamo sconfitte. “Attualmente introdurre altri obblighi vaccinali appare anacronistico perché le misure che tutelano la salute devono essere condivise più che imposte. In effetti tanti passi in avanti sono stati fatti come quello di offrire tutte le vaccinazioni gratuitamente (il pagamento costituiva un grosso ostacolo soprattutto per i bambini più svantaggiati), e di informare e coinvolgere i genitori”. Tra i passi importanti resta l’obiettivo della certificazione eliminazione del morbillo in Italia entro il 2010. Il nostro paese è fra quelli che in Europa registrano ancora il più alto numero di casi di questa malattia. Come mai? “È logico che sia così in quanto le coperture vaccinali fino ad ora non sono state sufficienti a interrompere la circolazione dell’infezione. Bisogna anche considerare che il morbillo è una malattia molto contagiosa quindi per eliminarla bisogna avere una percentuale di bambini vaccinati molto alta. Le nazioni che sono riuscite lo hanno fatto grazie a strategie che hanno raggiunto il 95 per cento della popolazione. Se consideriamo che in Italia cinque anni fa toccavamo il 56 per cento, e adesso siamo arrivati al 77 come media nazionale, dobbiamo fare un salto di qualità. “C’è da dire che questa vaccinazione è poi penalizzata dal fatto che viene fatta separatamente dalle altre e quindi è facile che una quota dei genitori si perda per strada”. Lei è fra quelli che hanno sostenuto la nascita di Spes che, posso immaginare, non dev’essere stata un’avventura da poco, dato anche il carattere di novità dell’esperienza” “Come tutte le cose nuove, soprattutto perché si tratta di un lavoro di gruppo, ha richiesto attenzione nel mantenere l’accordo di tutte le parti. È stato un grande risultato perché per la prima volta tutte le associazioni pediatriche collaborano ad un unico progetto, quindi sono state superate tante divisioni e ottiche differenti. Noi ad esempio in Istituto abbiamo più una visione epidemiologica, di sanità pubblica, mentre i pediatri hanno una visione più clinica. Come tutte le cose preziose ha richiesto passione. Non ce l’avremmo fatta diversamente. Il miglior premio comunque sono stati gli importanti risultati raggiunti per la salute”.

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