Pazza gioia Inter: i motivi dello Scudetto

Con quattro giornate d’anticipo rispetto alla fine del campionato di Serie A di calcio, l’Inter si laurea campione d’Italia, interrompendo la supremazia della Juventus che durava da 9 anni. Breve analisi dei motivi sportivi, a margine degli imprudenti assembramenti per i festeggiamenti a Milano.

L’Inter si laurea matematicamente campione d’Italia per la diciannovesima volta nella sua storia, interrompendo il dominio della Juventus che negli ultimi nove anni consecutivi si era fregiata del titolo. Con il pareggio per 1-1 maturato nel finesettimana tra il Sassuolo e l’Atalanta seconda in classifica, sono infatti già 13, a quattro giornate dalla fine, i punti che separano la capolista da ogni potenziale inseguitrice. Festa grande a Milano, in particolare in Corso Cairoli e Piazza Duomo, dove secondo la questura si sono riversati ben trentamila tifosi, in buona parte tutt’altro che attenti al distanziamento fisico, come purtroppo mostrato da molte immagini: una grave imprudenza che, per quanto comprensibile, non risulta giustificabile. Soprattutto di fronte agli ingenti sacrifici di molte categorie di lavoratori e cittadini che con ossequio e disagio stanno tenendo fede alle restrizioni poste in essere dallo Stato per arginare la maledetta pandemia di Covid 19.

La caduta del Regno bianconero
9 anni di successi consecutivi della Juventus in campionato rappresentano un record assoluto per la Serie A
, che avevamo celebrato motivatamente anche sulle nostre pagine lo scorso anno narrando lo scudetto firmato da mister Maurizio Sarri. Ma come tutti i “regni”, anche quello bianconero ha visto la sua fine: ironia della sorte, soprattutto per mano di un asse “juventino” composto da Giuseppe Marotta, uno dei più navigati dirigenti della massima serie, e dell’allenatore Antonio Conte. Due uomini su tutti, prima di passare a una disamina della squadra, in grado di cambiare la storia di una società che dopo l’epico Triplete del 2010 aveva smarrito stabilità e progettazione, assistendo a tre cambi di proprietà e tredici allenatori diversi. Due uomini, Conte e Marotta, in grado di reimpostare alla radice stile societario, metodo di lavoro e rosa, per colmare un gap evidente nei confronti della migliore, la Juventus. Il primo cercando anno dopo anno di alzare la qualità della squadra con acquisti mirati; il secondo in grado in due anni di migliorare praticamente tutte le performance degli atleti a disposizione.

La vittoria macchiata del gigante d’argilla…
Sullo sfondo, a foraggiarne il lavoro, il gigantesco gruppo cinese Suning: la prima proprietà non italiana a vincere in Italia, ponendo a capo della società nerazzurra Zhang, il più giovane presidente oggi scudettato della Serie A, non essendo neanche trentenne. Un gigante tuttavia dai piedi d’argilla perché, nell’anno funesto della pandemia che ha fiaccato buona parte delle grandi società anche sportive, ha accumulato circa 300 milioni di debiti. Un deficit per i quali non solo la proprietà interista è oggi in cerca di nuovi soci, ma si è macchiata anche della grave “congiura” ordita da 12 ricchi indebitati delirando di una Superlega poi abortita sul nascere, come abbiamo raccontato. I prossimi mesi definiranno meglio il futuro finanziario dell’Inter e le conseguenze in termini di pianificazione generale, per un’eventuale ulteriore crescita o per un ridimensionamento.

…quella dello stratega…
Il primo anno di mister Antonio Conte all’Inter si era concluso con una stagione oltre le aspettative, ma sfiancante: la rincorsa ai campioni della Juventus si era conclusa con un ottimo secondo posto a un solo punto dalla capolista. Eppure, la delusione della sconfitta in finale di Europa League sembrava avere rotto il giocattolo plasmato a immagine a somiglianza del proprio tecnico, per i limiti ancora evidenti rispetto a tante grandi europee: nel bene, ritemprando una squadra per lo più giovane ripresentatasi con motivati e instancabili combattenti, fedeli esecutori di un ormai noto 3-5-2 pressoché indiscutibile; nel male, perché spesso prevedibile e talvolta incapace di riconoscere i propri limiti soprattutto nel sapere leggere e cambiare le gare in corsa. «Ci fu un confronto schietto tra tutti – ha raccontato in proposito Marotta con una sintesi emblematica. – Abbiamo detto quello che non aveva funzionato. Conte fu chiarissimo ed elencò ciò che non andava. Abbiamo ricominciato la stagione con l’intento di regalare ai tifosi e al club una grande soddisfazione, forse non immaginavamo di vincere con questa apparente facilità. In questo l’impresa della squadra e di Conte è straordinaria».

…e quella di una squadra senza prime donne
Tra i principali mattatori della gioia social nerazzurra, Romelu Lukaku, un gigante buono a Milano, come avevamo annunciato a novembre 2019 sulle nostre pagine dopo il suo arrivo. Giocatore arrivato con grandi aspettative e poche certezze, tuttavia mantenute. Non solo in virtù di quelle che sono già 44 reti in campionato in due anni, ma soprattutto per il ruolo di generosa leadership dello spogliatoio e di baluardo offensivo del gioco della squadra, sempre sicura di appoggiarsi sulle sue enormi spalle per proteggere pallone, manovra offensiva e sogni di vittoria. Una montagna di altruismo e potenza: un portento decisivo per spaccare le difese avversarie. Altrettanto decisiva una difesa granitica che, dopo gli esperimenti dei primi due mesi di questa stagione (complici di una deludente eliminazione in Champions League già ai gironi), ha trovato un trio tra i migliori al mondo in Skriniar-De Vrij e Bastoni: quest’ultimo, un 22enne che sembra in Serie A da dieci anni, maturato moltissimo grazie a Conte e dotato di serenità e tecnica rare per un difensore della sua età. Esponenziale poi, nei due anni di Conte, la crescita di altri giovani come la punta Lautaro Martinez, prima solo un’ottima riserva e oggi tra le più corteggiate d’Europa, e la mezzala Niccolò Barella, da promessa a motorino inamovibile di Inter e Nazionale italiana.

Ma soprattutto Achraf Hakimi, una sorta di centometrista inesauribile prestato al calcio, dotato di un destro al fulmicotone abbinato a tecnica rara per i suoi 22 anni, disciplinato anche tatticamente nel tempo da Conte e in grado di segnare, dopo il suo arrivo, una netta differenza sulla fascia destra rispetto alla squadra dello scorso anno. Infine nota a parte per Christian Eriksen, messo palesemente sul mercato da Marotta a Natale perché “non si era inserito” e che era rimasto in squadra solo per assenza di proposte nei suoi confronti: inserito talvolta pochi minuti nel recupero, quasi a sancirne la presunta inutilità, nel girone di ritorno da record dell’Inter, complice la carriera al tramonto del presunto titolare Arturo Vidal, è risultato determinante con gol e giocate degne del suo destro da artista del pallone. Come a ricordare a tutti che nel calcio, come nella vita, spesso non serve rimpiangere occasioni o accusare altri, ma conta più aspettare il momento con umiltà e determinazione, sorprendendosi sempre delle grandi occasioni che possono arrivare. Un po’ come Eriksen, un po’ come l’Inter di Conte.

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