Paura nella tana – La lacrima che sale

Riscrivendo il testo di Kafka La tana secondo una personale identificazione e sensibilità, e trasformato in Nella tana, un inedito Luigi Lo Cascio sciorina per ottanta minuti, un fiume di parole, di sibili, di lamenti, di gorgoglii. Costruisce una sintassi poderosa. Tortuosa. Come lo è il labirinto di cunicoli, di anfratti, di gallerie, che scava quell’animale indefinito descritto da Kafka. Forse è un essere umano, che sentendosi minacciato si blinda in un rifugio per l’ossessione dell’estraneo, del nemico, dell’altro. Testo enigmatico al quale l’attore si è dato anima e corpo. Che confluiscono in un uso straordinario della voce. Lo Cascio ingaggia una lotta con le parole, sguainandole come una spada tagliente per affondi ritmici che diventano partitura del corpo, sonora e interiore. Un virtuosismo fo- netico, al servizio di un’azione drammaturgica di scavo, dove la quasi immobilità fisica, ne rafforza la potenza. A condividere nel bunker dell’intimità scenica l’intollerabile, a tratti ironica, angoscia del protagonista, sono cento spettatori a sera. La metafora della nostra condizione, dove il vero nemico in agguato è da individuare non fuori ma dentro di noi, per paura non dell’estraneo ma della propria intimità, è ulteriormente drammatizzata dall’animazione video di Nicola Console che materializza i pensieri e gli incubi del protagonista, facendosi ulteriore viaggio mentale. LA LACRIMA CHE SALE Ci sono storie che necessitano di essere rivelate. Con le quali misurarsi, per misurarci. Sia che avvenga attraverso un racconto, o una scarna messinscena affidata, però, a un interprete capace di immergerci nell’universo interiore di un’anima, nei suoi pensieri, nei suoi tumulti. E lasciarci con gli stessi, che ci accompagnano. L’attore Gabriele Parrillo, nel dare voce alla Vita breve di Eftimios, ci regala tutto questo. Scritto e diretto da Pasquale Misuraca, il breve testo rievoca la tragedia gioiosa di un figlio con una malattia mortale, che ha smesso di vivere troppo presto. Che amava la musica e gli scacchi, parlava di luce e di colori, di natura. E poneva domande. Descritto nell’iter vissuto tra normalità e affanno, il padre sembra dipingerlo sulla carta dell’anima, e usa pennellate vigorose come ho visto uscire una sola lacrima in tredici anni di cure, scesa dal ciglio alla guancia. O era sali- ta? che fanno intuire il valore di colui che porta la gioia (Eftimios, in greco). Pur nei limiti di una scrittura a tratti fin troppo letteraria, Parrillo cerca di piegarla alla scena, fende l’aria con i suoi movimenti, traccia segni di colore presi da alcune ciotole, rotola per terra, dialoga con un’invisibile interlocutore aprendo varchi all’immaginazione. Non è materia facile dosare le parole per non lasciare troppo spazio alla commozione obbligata, e non farsi prendere dalle storie e dalle persone che le hanno vissute. Parrillo sa contenere l’emozione distillandone la forza della consapevolezza.

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