I parsi, un popolo e un mondo a rischio

I parsi, gli eredi degli zoroastriani persiani emigrati in India intorno al VII secolo d.C., che molto hanno contribuito allo sviluppo economico dell’India moderna, si stanno estinguendo lentamente. Le cause sono soprattutto sociali e legate al loro particolarismo religioso.

Il loro vero nome sarebbe zoroastriani, ma in India, soprattutto a Mumbai e nello stato del Gujarat dove si trovano i luoghi fondamentali della loro storia nel sub-continente, sono conosciuti come parsi. Si tratta di un nome che deriva dalla loro lingua – il farsi – parlata nell’antica Persia e ancora oggi in Iran.

La loro origine risale a Zarathustra, che visse in Iran e che è considerato il profeta fondatore di questa religione chiamata anche Mazdeismo. Visse – non si conoscono esattamente le date – con tutta probabilità fra IX e VII secolo a.C. e fa parte di quel periodo assiale, che durò vari secoli, che il filosofo tedesco Jasper ha definito come uno dei momenti decisivi della religiosità nella storia dell’uomo. È, infatti, in qualche modo contemporaneo di Confucio e Buddha. Questa religione, che ha nell’Avesta il suo libro sacro, invita i suoi seguaci ad adorare il Signore Saggio, che crea con il pensiero – Ahura Mazda –, ed il loro culto si svolge nel tempio del fuoco dove non sono ammessi estranei.

Dopo quasi un millennio in cui si svilupparono come seguaci della principale religione della Persia antica, gli zoroastriani-parsi fuggirono dalla loro terra nel VII secolo d.C. per via delle persecuzioni da parte dell’Islam che era in costante ascesa, sebbene ancora giovane come religione. Dopo aver navigato verso oriente, i parsi approdarono in India a nord di quella che oggi è Mumbai, nello stato del Gujarat, e il re locale li accolse cordialmente ma fece presente che nel suo regno non c’era posto per un altro popolo. Per questo si fece portare un bicchiere di latte pieno fino all’orlo per dimostrare lo stato del territorio in cui governava. Il leader della comunità persiana prese allora dello zucchero e lo sciolse nel latte a significare come questi fuggiaschi si sarebbero adattati alla vita locale, senza dare nell’occhio e pienamente inseriti nel contesto sociale. Alla prima ondata di profughi ne seguirono altre fino a metà dello scorso millennio.

I parsi-zoroastriani hanno sempre mantenuto la loro identità con grande rispetto delle altre tradizioni originarie del sub-continente, ma anche mantenendo la propria cultura, religione e lingua ma senza mai provocare tensioni. Si realizzò, quindi, una progressiva integrazione sia pure nella diversità.

Con l’arrivo della Compagnia delle Indie Orientali, nel XVIII secolo, e con la successiva colonizzazione dell’intero sub-continente, l’India si trovò al centro dei grandi commerci e i parsi cominciarono a lasciare i villaggi dello stato del Gujarat per avvicinarsi al porto di Bombay. Lentamente ma progressivamente diventarono protagonisti del commercio, inserendosi nel sistema bancario e, con la rivoluzione industriale, dando vita a fabbriche e industrie destinate a crescere e diventare veri imperi.

Tata (la principale industria indiana di automobili), per esempio, appartiene da sempre ad una dinastia parsi che ha creato il nucleo portante dell’industria metallurgica attorno al quale, a sud di Kolkata, l’antica Calcutta, è nata la città di Jamshedpur, intitolata al loro capostipite (Jamshed). Ma anche altri grandi industrie come Godrej appartengono a una famiglia che appartiene a questo popolo. Inoltre, i parsi per via della loro etnia, dai tratti molto simili a quelli degli europei, si erano inseriti ottimamente anche nel sistema bancario, finanziario ed educativo dando vita a banche, compagnie finanziarie, istituti di ricerca e centri artistici. Il celebre direttore di orchestra Zubin Mehta è un parsi di Bombay, come lo era anche Freddy Mercury, stella rock degli anni Ottanta.

La presenza della comunità zoroastriana a Mumbai si è sempre sentita, anche se il gruppo era limitato, quasi infinitesimale, nella metropoli che, dopo l’indipendenza, ha cominciato a crescere a vista d’occhio fino ad arrivare ai 22 milioni di abitanti di oggi. Intanto i parsi, che, comunque, mantenevano dei quartieri tipici nella grande città – le Parsi Colony dove solo zoroastriani sono ammessi – hanno cominciato a declinare di numero. Dai 150 mila degli anni Cinquanta, sono scesi a poco più di centomila per ridursi oggi a circa sessantamila – secondo alcuni addirittura meno.

Molti i motivi di questo vertiginosa discesa demografica. Innanzi tutto l’impossibilità per persone di altre tradizioni religiose di diventare zoroastriani. Con qualche rarissima eccezione, per altro assai contestata dalla comunità, la conversione è impossibile e il criterio etnico rimane decisivo per l’appartenenza al popolo e alla cultura parsi.

Inoltre, nella grande metropoli negli ultimi decenni sono cresciuti i matrimoni misti, fra persone di diversi gruppi etnici e religiosi. Molte giovani zoroastriane si sono sposate con indù, musulmani o cristiani. Per via della tradizione hanno dovuto abbandonare la comunità e i figli non vengono riconosciuti come parsi. La trasmissione avviene, infatti, per linea paterna.

È poi molto frequente incontrare membri della comunità – sia uomini che donne – che scelgono di non sposarsi. Questa è una grande eccezione nel panorama indiano. Lo stesso Ratan Tata, il grande magnate della famiglia che controlla un vero impero economico in vari settori diversificati dell’industria, è arrivato a 83 anni senza mai sposarsi, e la cosa è comune all’interno del gruppo. Il governo indiano ha da qualche tempo offerto degli incentivi pecuniari a famiglie parsi per incoraggiarle ad avere più figli e far sì che la comunità non si estingua. Molti parsi, poi, nel corso dei decenni si sono trasferiti in Inghilterra, Canada, Stati Uniti e anche in Australia.

In questi giorni persino il prestigioso New York Times ha dedicato un lungo articolo a questa comunità che, afferma il titolo, ha contribuito in modo decisivo alla costruzione dell’India indipendente e che oggi è ridotta ai minimi termini. La scomparsa di questa piccola comunità non sarebbe solo una grande perdita per l’India, ma anche per l’umanità. Basti pensare che Zarathustra – insieme a Confucio – è considerato il padre della Regola d’Oro, la norma etica per eccellenza che oggi sta tornando di attualità a molti livelli: «Fa a gli altri ciò che vorresti che facciano a te e non fare ciò che non vorresti fatto a te».

 

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