Sfoglia la rivista

Persona e famiglia > Felicemente

Parlare di morte

di Angela Mammana

Prendere consapevolezza dell’ineluttabilità di “sorella morte” è, quasi paradossalmente, essenziale per vivere meglio

Celebrazioni per il giorno dei defunti in Nicaragua. Foto Ansa/EPA/Jorge Torres

È proprio lei, quella che neghiamo facilmente, quella che evitiamo il più possibile, che ci fa venire il panico, che a volte è liberatoria, che odiamo, che spacca il cuore quando arriva vicino: la morte.

In Messico la chiamano la Santa Muerte: è una santa popolare che personifica la morte, la mettono agli angoli delle strade come una statua di gesso o su una candela votiva, o medaglione d’oro. Lo sguardo vuoto della santa scheletrica rappresenta lo sguardo della morte. La Santa Muerte è prima di tutto una santa non ufficiale che guarisce, protegge e consegna i devoti alle loro destinazioni nell’aldilà.

Per il mondo cristiano è un passaggio che porta alla vita eterna. Le religioni hanno in sé alcuni significati che in qualche modo danno un senso alla morte, allo stesso tempo anche i più buoni credenti cattolici, induisti, musulmani si confrontano con la finitudine di questa vita. Dal punto di vista psicologico affrontare il tema della morte è fondamentale, la consapevolezza dell’ineluttabilità della fine cambia la qualità dell’esistenza.

La paura della morte sta sotto la superficie, viaggia con noi, e spesso ci aiuta proprio a difenderci da tutti i possibili pericoli reali. La conserviamo nelle nostre fantasie, nei nostri sogni, a volte si scatena in qualche incubo. Se ritorniamo indietro nel tempo, già da bambini ci siamo confrontati con questa paura dell’annientamento. In terapia, come nella vita, non possiamo fare a meno ad un certo punto di affrontare questo tema: poiché la vita e la morte sono interdipendenti, non possiamo ignorare che moriremo. Abbiamo paura di questo oblio e dobbiamo trovare un modo per vivere nonostante la paura. Imparare a convivere con l’idea della morte vuol dire anche imparare a vivere bene. Avviene qualcosa di paradossale, poiché sebbene la morte ci distrugga, l’idea della morte può salvarci, quando l’accettiamo riusciamo a vivere più pienamente il presente. Quante volte ti è capitato di osservare che l’arrivo di una morte improvvisa, di un evento catastrofico o di un lutto abbia cambiato le priorità della tua vita, abbia cancellato un po’ quelle nevrosi quotidiane che ci accompagnano, abbia messo in luce l’essenziale: ciò che è veramente importante. Dobbiamo aspettare la fine per imparare a vivere?

Il lutto può essere quell’esperienza di confine potente che ci fa confrontare anche con la nostra di morte. Personalmente ricordo bene il mio primo lutto importante, un po’ traumatico, è avvenuto all’età di 21 anni: lì ho imparato che la vita è breve, che si può morire anche da giovani e che la vita va vissuta con passione. L’intima consapevolezza che tutto può finire apre le porte alla gratitudine. La consapevolezza che la nostra esistenza è destinata a concludersi potrebbe spingerci a vivere pienamente ogni istante. Massimo Recalcati in un suo saggio sul lutto conclude con queste meravigliose parole: «Il fuoco della memoria, quello che si genera dalla luce delle stelle morte, viene ereditato dalla potenza affermativa di un desiderio nuovo. La gratitudine non può prendere allora il posto del rimpianto; non è semplicemente la memoria di ciò che è stato, ma la possibilità di una vita differente». Le stelle morte rappresentano i lutti della nostra vita, che se elaborati possono lasciare spazio ad un nuovo “desiderio”. La consapevolezza della finitudine e quindi del non-vissuto, può essere piena e sana coscienza dialettica del possibile e dellimpossibile.

Poi ci sono quelle piccole morti interne, di parti, piccoli lutti dati dai limiti della vita: quella cosa che non può più essere o avvenire, la vecchiaia che avanza, un figlio che non ci sarà, una malattia. L’accettazione della morte ci aiuta ad accettare e lasciare andare anche questo. Dall’altra parte c’è un pezzo di vita che continua a germogliare. Cara sorella morte (come diceva Francesco), da te, non possiamo scampare.

Riproduzione riservata ©

Sostieni l’informazione libera di Città Nuova! Come?
Scopri le nostre riviste,
i corsi di formazione agile e
i nostri progetti.
Insieme possiamo fare la differenza! Per informazioni:
rete@cittanuova.it

Esplora di più su queste parole chiave
Condividi

Ricevi le ultime notizie su WhatsApp. Scrivi al 342 6466876