Paradise now

Said e Khaled vivono a Nablus in un campo profughi. Sono cresciuti insieme in una terra occupata che vogliono a tutti i costi liberare e per questo stanno per immolarsi come kamikaze per la causa palestinese. I due hanno un unico obiettivo, farsi esplodere a Tel Aviv a breve distanza uno dell’altro in modo da colpire anche i soccorritori, ma diverse sono le motivazioni. In Khaled a prevalere è l’aspetto religioso. Crede che il suo martirio, oltre a contribuire alla lotta contro Israele, gli consentirà di raggiungere il paradiso. Said, invece, combatte contro l’ingiustizia e crede che il suo sacrificio rappresenti ormai l’unica forma di lotta possibile, l’ultima rimasta ai palestinesi, per contrastare lo strapotere militare israeliano. Se non possiamo essere uguali in vita, saremo uguali nella morte dice alla bella Suha, convinta invece che il terrorismo non porti a niente. Ma se la posizione di Suha riesce, forse, a mettere in crisi Khaled, piegando con la ragione la sua irrazionalità religiosa, nulla può contro la lucida determinazione di Said, per cui la morte è l’unica soluzione per riacquistare la dignità di persona e di popolo. Il senso di ineluttabilità domina il racconto. Sembra impossibile che le cose possano andare diversamente da così. Siamo già morti ripetono i due, mentre si compie il rituale dei preparativi: il testamento filmato, le foto per i poster commemorativi, le preghiere, la preparazione degli ordigni, la vestizione, le ultime istruzioni. E in questo scenario desolato, il regista volutamente non si schiera, non spiega nulla, si limita a raccontare. Per farlo gira il film negli stessi pericolosi luoghi dove è ambientato, mettendo in scena la realtà durissima di chi ha sempre vissuto nella povertà e nella disperazione dei campi profughi. Chi predica la nonviolenza, come Suha, viene da fuori. Abu-Assad mette le varie anime della Palestina una di fianco all’altra, con tutto il carico di odio, violenza, speranza e amore che ognuna porta con sé. E in un miracoloso equilibrio che richiama alla mente il miglior neorealismo, riesce a tenere aperto nel finale, nonostante tutto, un sottilissimo spiraglio di speranza. Anche se è difficile credere che questa volta il paradiso possa attendere. Regia di Hanry Abu-Assad; con Kais Nashef, Ali Suleiman, Lubna Azbal, Hiam Abbas. Cristiano Casagn

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