Il papa a Loppiano: «Portate avanti la spiritualità del noi»

Francesco consegna alla cittadella dei Focolari due parole chiave: parresia, cioé il coraggio di dire la verità, e hypomoné, che significa portare sulle spalle il peso di ogni giorno. Ricorda che la prima discepola di Gesù fu Maria, madre e laica, e invita a seguire il suo esempio, nei momenti più conflittuali con Gesù, come le nozze di Cana. La sfida epocale di oggi è costruire una cultura condivisa dell’incontro e una civiltà globale dell’alleanza. Per farlo, serve la fedeltà creativa: cercare nuove strade, rimanendo fedeli all’ispirazione originaria e restando aperti al soffio dello Spirito Santo. E serve una spiritualità del noi, che ci salva dall'egoismo.

Uno squarcio di luce imprevisto illumina le circa 6 mila persone assiepate nelle aiuole intorno al santuario di Maria Theotokos. Le previsioni dicevano pioggia, invece un bel sole riscalda l’attesa tra i canti dei gruppi musicali internazionali del Gen Rosso e del Gen Verde. Si attende l’arrivo di papa Francesco, che ha da poco lasciato la comunità di Nomadelfia.

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Occhi in su: dopo l’elicottero delle forze dell’ordine, una manciata di minuti prima delle 10 arriva quello bianco su cui vola il pontefice. Vola basso, procede lento, come a consentire al papa di guardare la cittadella dove vivono circa 800 persone di culture, etnie e convinzioni diverse. Loppiano è la prima delle 25 Mariapoli dei Focolari, le città di Maria, diffuse nel mondo: dal Brasile all’Argentina, dalle Filippine al Camerun. In quest’ultima in particolare gli abitanti rischiano la vita – come dirà poi preoccupata la presidente del Movimento, Maria Voce, al papa – a causa del conflitto armato in atto nel Paese.

L’elicottero atterra alle 10 alle spalle del salone San Benedetto, accolto da un grande manifesto di benvenuto. Pochi minuti dopo, a bordo di un’auto elettrica scoperta, papa Francesco raggiunge la comunità, sporgendosi per toccare mani, sorridere, benedire la folla esultante, i cardinali, i vescovi, le autorità politiche e militari. Con loro, ci sono anche la presidente dei Focolari, Maria Voce, e il copresidente, Jesus Mòran, che accompagnano Francesco all’interno del santuario Maria Theotokos, lasciandolo poi a pregare qualche minuto nella luce soffusa prodotta dalle grandi vetrate colorate.

«La cittadella di Loppiano – ha detto poi Maria Voce salutando emozionata il papa – è un laboratorio di vita, una palestra nella quale ci si allena a costruire l’unità nella diversità». Sono seguite le domande. La prima su come vivere questo periodo – siamo nel decennale della scomparsa della fondatrice, Chiara Lubich –nel quale bisogna dare incarnazione alla profezia degli inizi.

Sorridendo, facendo battute («Sono 14 pagine di discorso, vi annoierete…!»), Francesco ha affermato che «a Loppiano tutti si sentono a casa». Integrando spesso a braccio il discorso ufficiale, il papa ha spiegato di aver voluto visitare la cittadella «anche perché, come sottolineava colei che ne è stata l’ispiratrice, la serva di Dio Chiara Lubich, vuole essere un’illustrazione della missione della Chiesa oggi, così come l’ha tracciata il Concilio Ecumenico Vaticano II».

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A Mite e Aurelia Balduzzi, “pionieri di Loppiano” che gli hanno fatto la domanda, e a tutti coloro che si sono lanciati in questa avventura, lasciando terre, case e posti di lavoro, Francesco ha detto: «Grazie! Grazie per quello che avete fatto, grazie per la vostra fede in Gesù! È lui che ha fatto questo: voi avete messo la fede, lui ha fatto miracoli uno dietro l’altro». Il papa ha dato poi due parole chiave alla cittadella: parresia e hypomoné, da tener presenti nella cornice della memoria. Perché, ha sottolineato, se il cristiano perde la chiave della memoria, comincia a morire.

La parresia è «il coraggio e la sincerità nel dare testimonianza della verità e insieme la fiducia in Dio e nella sua misericordia. La parresia esprime la qualità fondamentale nella vita cristiana: avere il cuore rivolto a Dio, credere nel suo amore, perché il suo amore scaccia ogni falso timore, ogni tentazione di nascondersi nel quieto vivere, nel perbenismo o addirittura in una sottile ipocrisia: tutti tarli che rovinano l’anima!». Per il papa è necessario chiedere allo Spirito Santo la franchezza – sempre unita al rispetto e alla tenerezza – nel testimoniare le opere grandi e belle che Dio compie in noi e in mezzo a noi. «E anche nelle relazioni occorre essere sempre sinceri, franchi, non paurosi né pigri né ipocriti, ma aperti. Non stare in disparte per seminare zizzania e mormorare, ma sforzarsi di vivere da discepoli sinceri e coraggiosi in carità e verità. Seminare zizzania – ha aggiunto a braccio – distrugge la Chiesa, distrugge la comunità, distrugge la vita. Distrugge anche te». Quelli che vivono di chiacchiericcio sono come i terroristi: sparlano di uno e fanno come il terrorista, che butta la bomba e poi va via tranquillo….

Ma la parresia, la verità nel parlare, serve anche nel rapporto con Dio. «Anche la preghiera – sottolinea il papa – va fatta con parresia, bisogna dire le cose a Dio in faccia, bisogna “lottare” con Dio nella preghiera», come Abramo, che ebbe il coraggio di far diminuire il numero dei giusti che avrebbero potuto salvare Sodoma, e come Mosè, «il grande amico di Dio, che gli dice in faccia: “Se tu distruggi questo popolo, distruggi anche me”».

L’altra parola chiave è poi hypomoné, che significa portare sulle spalle il peso di ogni giorno, che ancora «possiamo tradurre come il sotto-stare, il sopportare, imparare ad abitare le situazioni impegnative che la vita ci presenta. Si tratta di tenere ferma questa scelta anche a costo di difficoltà e contrarietà, sapendo che questa costanza, questa fermezza e questa pazienza producono la speranza. E la speranza non delude, mettetevelo in testa!». Per Paolo, ricorda Francesco, il fondamento della perseveranza è l’amore di Dio versato nei nostri cuori col dono dello Spirito, un amore che ci precede e ci rende capaci di vivere con tenacia, serenità, positività, fantasia… e anche con un po’ di umorismo, persino nei momenti più difficili.

Chiara Lubich ha sentito da Dio la spinta a far nascere Loppiano a partire dal carisma dell’unità: un bozzetto di città nuova nello spirito del Vangelo. «Una famiglia – spiega il pontefice – in cui tutti si riconoscono figli e figlie dell’unico Padre, impegnati a vivere tra loro e verso tutti il comandamento dell’amore reciproco. Non per starsene tranquilli fuori dal mondo, ma per uscire, per incontrare, per prendersi cura, per gettare a piene mani il lievito del Vangelo nella pasta della società, soprattutto là dove ce n’è più bisogno, dove la gioia del Vangelo è attesa e invocata: nella povertà, nella sofferenza, nella prova, nella ricerca, nel dubbio».

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Il carisma dell’unità è uno stimolo provvidenziale e un aiuto potente a vivere questa mistica evangelica del noi. Papa Francesco parla della “spiritualità del noi”, che serve a noi stessi e agli altri. «Noi – ha detto – è il contrario dell’individualismo sia dell’io che del tu. È questa spiritualità del noi, quella che voi dovete portare avanti, che ci salva da ogni egoismo e ogni interesse egoistico. La spiritualità del noi!».

In questa prospettiva Francesco risponde anche a chi, partendo dall’esistenza di 10 scuole di formazione e dell’Istituto universitario Sophia, chiedeva quale dovrebbe essere il loro contributo fresco e creativo alla costruzione di leadership che indichino nuove strade. «Loppiano città aperta, Loppiano città in uscita. A Loppiano non ci sono periferie e questa è un grande ricchezza. Vi suggerisco – ha affermato – di dare a tutti questi centri di formazione nuovo slancio, aprendoli su più vasti orizzonti e proiettandoli sulle frontiere». In particolare, ha detto il papa, è «essenziale mettere a punto il progetto formativo che connetta i singoli percorsi che toccano più in concreto i bambini, i giovani, le famiglie, le persone delle varie vocazioni. La base e la chiave di tutto sia il “patto formativo”, che è alla base di ognuno di questi percorsi e che ha nella prossimità, nel farsi prossimi agli altri, e nel dialogo il suo metodo privilegiato».

Essenziale è poi educarsi a esercitare insieme i tre linguaggi: della testa, del cuore e delle mani. «Bisogna cioè imparare a pensare bene, a sentire bene e a lavorare bene. Sì, anche il lavoro, perché esso – come scriveva don Pasquale Foresi – “non è soltanto un mezzo per vivere, ma è qualcosa d’inerente al nostro essere persona umana, e quindi anche un mezzo per conoscere la realtà, per capire la vita: è strumento di formazione umana reale ed effettiva”». L’educazione non è riempire la testa di concetti, ma coniugare testa, mani e cuore «in modo che questi tre linguaggi siano interconnessi: che tu pensi quello che senti e fai, tu senti quello che pensi e fai, tu fai quello che senti e pensi, in unità. Questo è educare».

Ma qual è la missione di Loppiano? Lo ha chiesto al papa Elena Bongini, parlandogli di Roger, immigrato della Costa d’Avorio insieme a Moussa, che ha presentato gli altri con cui vive questa esperienza nella cittadella: Ali e Makan del Mali; Bertrand del Camerun, Gift, Amadin e Ephreim della Nigeria, di religioni diverse, che hanno imparato, sullo stile di Loppiano, a superare le difficoltà e ad essere fratelli. «La storia di Loppiano – ha affermato il papa – non è che agli inizi. È un piccolo seme già germogliato, rigoglioso, ma che deve mettere radici robuste e portare frutti sostanziosi e questo chiede umiltà, apertura, sinergia, capacità di rischio».

41295453654_6e90698be3_zLa sfida epocale di oggi è «costruire una cultura condivisa dell’incontro e una civiltà globale dell’alleanza. E per far questo occorrono uomini e donne – giovani, famiglie, persone di tutte le vocazioni e professioni – capaci di tracciare strade nuove da percorrere insieme. La sfida è quella della fedeltà creativa: essere fedeli all’ispirazione originaria e insieme essere aperti al soffio dello Spirito Santo e intraprendere con coraggio le vie nuove che Lui suggerisce». Il papa suggerisce di leggere e rileggere gli Atti degli apostoli, che «sapevano coniugare la fedeltà creativa e furono capaci di restare fedeli e fare tante pazzie».

Per conoscere e seguire lo Spirito Santo siamo chiamati tutti a diventare “artigiani del discernimento comunitario”. «È questa la strada perché anche Loppiano scopra e segua passo passo la via di Dio a servizio della Chiesa e della società». Prima di concludere, il papa ha firmato il “patto d’amore scambievole” propostogli dagli abitanti di Loppiano e ha sottolineato la sintonia tra il Vaticano II e il carisma dei Focolari, il cui nome ufficiale per la Chiesa è Opera di Maria.

«Il 21 novembre 1964 il beato Paolo VI ha proclamato Maria “Madre della Chiesa”. Io stesso – ha detto Francesco – ne ho voluto istituire quest’anno la memoria liturgica, che sarà celebrata per la prima volta il prossimo 21 maggio, lunedì dopo la Pentecoste. Maria è la Madre di Gesù ed è, in Lui, la Madre di tutti noi: la Madre dell’unità. Il Santuario a Lei dedicato qui a Loppiano è un invito a metterci alla scuola di Maria per imparare a conoscere Gesù, a vivere con Gesù e di Gesù presente in ciascuno di noi e in mezzo a noi».

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Non dimenticate, ha aggiunto a braccio il papa, che Maria era una laica. Una donna, una laica è stata la prima discepola di Gesù. Francesco lancia allora una “sfida”: prendere i passi di Gesù più conflittuali e vedere come Maria reagiva in quelle situazioni, ad esempio alle nozze di Cana.

«Questa – ha concluso il papa – è una vera scuola per andare avanti. Perché lei è la donna della fedeltà, la donna della creatività, la donna del coraggio, della parresia, la donna della pazienza, la donna del sopportare le cose. Guardate sempre questo, questa laica, prima discepola di Gesù, come ha reagito in tutti gli episodi conflittuali della vita del suo figlio. Vi aiuterà tanto».

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