Papa Francesco, il pugno e la paura

Mentre era in volo verso Manila il pontefice ha sorpreso tutti dicendo: «Se un amico dice una parolaccia contro mia mamma si aspetti un pugno». Cosa intendeva? Un commento
Papa Francesco

Papa Francesco ci ha sorpresi, ieri in aereo, nel dialogo con i giornalisti, con l’affermazione: «…ma se il dr. Gasparri, che è un amico, dice una parolaccia contro mia mamma si aspetti un pugno (il pontefice ha fatto il gesto di dare un pugno)».

Ascoltando le sue parole sorprendenti, ho pensato a quando frère Christian, al monastero di Tibhirine, in Algeria, aprì la porta per la prima volta al capo del Gia (Gruppo islamico armato) nel Natale del 1993. La sua prima parola fu, in francese: «Merde». Non una posta di rosario o una giaculatoria, ma una umanissima parola di protesta.

Questo non cancella il suo straordinario testamento, in cui chiede al Signore di poter vedere l’Islam con lo sguardo e con gli occhi di Dio. Dunque nessun martirio a petto in fuori, con l’arroganza della verità, ma la grazia discreta del martirio, da vivere nel punto più delicato e definitivo della vita, restando e non partendo.

Il papa ieri ha anche sottolineato la necessità di godere della libertà, ma senza offendere. È evidente il paradosso, ma due osservazioni ci aiutano a comprenderlo. Innanzi tutto, per dare un pugno bisogna essere forti, ma la stragrande parte dell’umanità è debole. Io sono debole. Io come disabile e poliomielitico non ho la forza di dare un pugno a nessuno. Questa mia condizione di debolezza è una grazia o una disgrazia? Io penso che sia una grazia, che riguarda non solo la mia vicenda quotidiana,ma anche la grande storia. Come dice l’apostolo: «È quando sono debole che sono forte». 

Come seconda cosa, non bisogna dimenticare in nessun momento che a Parigi sono state uccise venti persone, venti vittime nel cuore dell’Europa, che non devono oscurare le vittime di ogni parte del mondo. E da li bisogna partire. È il segno tragico di una globalizzazione del terrore, che riguarda e interpella tutti. Potremmo dire martiri della libertà i cittadini uccisi a Parigi.

Il papa, all’inizio del suo dialogo in aereo, dice ancora: «Due siano i diritti fondamentali: la libertà religiosa e la libertà d’espressione. Non si può offendere e fare la guerra, uccidere in nome della propria religione, in nome di Dio. A noi ciò che succede adesso ci stupisce, ma pensiamo alla nostra storia: quante guerre di religione abbiamo avuto. Pensiamo alla notte di san Bartolomeo. Anche noi siamo stati peccatori su questo, ma non si può uccidere in nome di Dio. Questa è una aberrazione».

Il papa chiama la Chiesa a confessare continuamente i suoi peccati in ordine alla guerra di religione. Si è usato Dio per giustificare la guerra. L’Occidente cristiano ha fatto del secolo scorso il secolo della guerra e da questo deve costantemente purificarsi per non ritornare nel gorgo della violenza.

La piena confessione del peccato della Chiesa contro la guerra crea le condizioni perchè l’ebraismo e l’Islam escano dalla trappola della giustificazione dell’uccidere, che Dio ha già negato dal principio: non uccidere.

C’è un nuovo ecumenismo delle vittime, anche a Parigi. Esse sono i veri maestri per una nuova comprensione dell’ebraismo, del cristianesimo e dell’Islam, e delle loro Sacre Scritture a partire dalla pace e non dalla guerra. Da questo processo di purificazione nessuno è escluso e tutti sono coinvolti.

Un processo di purificazione esigente e coraggioso, che renda mite lo statuto dei tre grandi monoteismi, che li trasformi in mitezza e pace, ognuno riconoscendo unilateralmente i propri peccati e le proprie responsabilità in ordine alla violenza e alla guerra.

In questo processo di purificazioni, tutti siamo chiamati a uscire dal “terrorismo delle chiacchiere”, felice espressione di papa Francesco, che ferisce le religioni e il grande mistero dell’alterità che esse contengono. Non si tratta di limitare un diritto o di contrapporlo ad un altro, ma di scegliere unilateralmente il primato e la cura dell’altro, per un bene più grande, che è la vita dei piccoli, dei deboli, perché anche le parole sono pietre e possono diventare pietre, capaci di lapidare e uccidere.

Solo l’ecumenismo delle vittime può rinnovare la radice del grande albero dei monoteismi e ciascuno contribuirà a cambiare gli altri, solo a condizione di purificare costantemente se stesso.

La globalizzazione della violenza domanda di andare oltre l’ecumenismo delle diplomazie religiose o parareligiose e delle liturgie levigate, per azioni e parole costose, che disarmino i cuori di tutti e di ciascuno.

Bisogna andare oltre Assisi e questo processo deve arrivare da Gerusalemme a Gaza, a Beirut, Aleppo, Damasco, fino a Bagdad e Teheran, sulle linee della sofferenza del mondo, dove il comando di Dio si fa parola di verità dei piccoli della terra.

Essi chiedono che sia risolto il conflitto israelo/palestinese, dove anche l’ebraismo si deve far carico dei bambini di Gaza e della dignità di un popolo, e che la pace si sostituisca alla guerra tra sunniti e sciiti e che il  terrorismo islamico venga cancellato dai cuori e dai gesti dei giovani musulmani.

Ancora il papa ci indica la strada: «il migliore modo per rispondere è la mitezza, l’essere mite, umile, come il pane, senza fare aggressioni». Qui papa Francesco è oltre il paradosso del pugno e ci dice che non c’e’ alternativa a quanto sta indicando e sa bene che il pane va spezzato, va diviso, va donato. È il pane della pace, è il mistero stesso di Dio.

Infine papa Francesco riflette sulla possibilità di subire un attentato alla sua vita. La risposta straordinaria rinvia a quella di frère Christian: «Alcune volte mi sono chiesto: ma se accadesse a me? Ho soltanto chiesto al Signore la grazia che non mi faccia male, perché non sono coraggioso di fronte al dolore, sono molto timoroso».

Di nuovo un martirio nella debolezza e nella fragilità. Papa Francesco, come frère Christian, obbedisce e dona la vita, non nella forza, ma nella piccolezza, senza nascondersi e senza nascondere le proprie paure, perché lì opera sempre la misericordia e il perdono di Dio.

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