Panino a scuola: si o no?

Una sentenza (inattuabile?) stabilisce che si può portare il pasto da casa. Ma chi controlla eventuali contaminazioni? Chi paga la gestione dei locali mensa, che comunque va assicurata? Anche la pausa pranzo deve rimanere momento educativo. Il parere di un insegnante
mensa

A Torino le scintille scoccano tra famiglie e scuole. Non su questioni di didattica o prettamente scolastiche. Un giudice ha sentenziato che le famiglie che lo richiedono possano far mangiare i figli a scuola con il pasto portato da casa e non con quanto offerto dalla refezione scolastica. Le famiglie ricorrenti inalberano la sentenza ed avanzano pretesa di attuazione.

 

L'ASL fa sapere, ma solo su domanda specifica, che la normativa attuale non permette il consumo di alimenti da casa nei refettori. Il Comune conferma. Le ditte che hanno in gestione la refezione sono di fatto coloro che si occupano anche dei locali. Ergo non è corretto che utenti esterni al servizio della refezione usufruiscano del loro operato in quanto a pulizia e servizio (anche perché il tempo concesso/retribuito loro è strettissimamente calcolato in base al numero degli iscritti).

 

Le famiglie iscritte alla refezione paventano possibili contaminazioni tramite cibi estranei non garantiti né certificati. Gli insegnanti non hanno la possibilità di suddividersi in più locali, qualora ve ne fossero di “idonei” (il riconoscimento dell'ASL non è scontato e comunque il locale diventerebbe inagibile ad altri utilizzi), rimane quindi aperto il problema della sorveglianza di questo secondo gruppo di bambini. (Sarebbe interessante che almeno vi fossero i docenti necessari per far scuola … prima di pensare ad un loro utilizzo in “altro”).

 

I Dirigenti Scolastici meno responsabili hanno già iniziato a far fruire pasti da casa nei locali della scuola in locali di fortuna (non “idonei”) e con scarsa sorveglianza, mettendo per altro in cattiva luce quelli più attenti a soluzioni non transitorie ed al rispetto della normativa. L'utenza, spesso poco informata da una stampa che fa chiacchiericcio e non sostanza, disquisisce e sentenzia su chi è bravo e chi non lo è. Dirigenti e Docenti sprecano tempo prezioso per questioni la cui soluzione spetterebbe ad altri.

 

La sentenza può piacere o meno, ma non si discute. Sarebbe il caso di pensare ad una norma che richieda a questa tipologia di sentenze una clausola legata alla propria attuabilità. Non averla la rende strumento di divisione ulteriore: il TAR regola i suoi pronunciamenti in base agli effetti che possono avere.

 

I vari comitati pro o contro i pasti da casa utilizzano l'arma della denuncia civile e penale con molta leggerezza, quasi i Dirigenti avessero realmente i “poteri”. Il mondo magistrale legato al Tempo Pieno (quello tradizionale, non le 40 ore passate a scuola) paventa un attacco a tale istituzione. Cita il valore educativo del pasto insieme. Teme che il diminuire dell'utenza dei pasti infici il valore dell'offerta offrendo il fianco alle manovre di tagli economici e di risorse.

 

I tempi del tutto a tutti sono passati, i fondi non ci sono, le rette aumentano, l'ISEE non basta ad abbassare le quote, i bimbi sono sempre più indifferenti agli inviti ad assaggiare tutto. La mensa non è un momento facile e nella “febbre da buona scuola” fatica a mantenersi momento educativo.

 

Serve uscire dalle ideologie, porsi in un'ottica di servizio. Alcuni Dirigenti lo stanno facendo e con molta sudata trasparenza si stanno muovendo per assicurare comunque una soluzione transitoria alle famiglie. Serve soprattutto che dal Miur all'ASL, dal Comune ai gestori delle mense ognuno prenda le proprie responsabilità concrete perché non si può far finta di niente sulle spalle della gente.

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