Pane e non fucili, un grido che chiede risposta

L’appello per lo stop alla tragica corsa verso gli armamenti gridato forte a San Pietro durante la Pasqua e i dati del Sipri sulle incessanti esportazioni in teatri di guerra
Fiera di armi a Abu Dhabi AP Photo/Jon Gambrell

Un pressante invito alla conversione dell’economia nel pieno della pandemia è giunto durante i momenti forti della Pasqua. Il francescano Raniero Cantalamessa non ha usato mezzi termini in mondovisione nella celebrazione del venerdì santo: «bisogna dire basta alla tragica corsa verso gli armamenti».

Il messaggio è stato diretto in modo particolare ai giovani come possibile motore del cambiamento: «Gridatelo con tutta la forza, voi giovani, perché è soprattutto il vostro destino che si gioca. Destiniamo le sconfinate risorse impiegate per gli armamenti agli scopi di cui, in queste situazioni, vediamo l’urgenza: la salute, l’igiene, l’alimentazione, la lotta contro la povertà, la cura del creato. Lasciamo alla generazione che verrà un mondo, se necessario, più povero di cose e di denaro, ma più ricco di umanità».

Il messaggio trasmesso dal Vaticano non è il primo nel suo genere, il 23 Marzo scorso il segretario generale dell’Onu António Guterres aveva invocato il cessate il fuoco globale per la pandemia e sono tante le associazioni e i gruppi che lo chiedono a gran voce da tempo.

Durante la veglia di Pasqua, papa Francesco non ha solo chiesto di mettere a tacere le grida di morte e la fine delle guerre ma ha detto esplicitamente «Si fermino la produzione e il commercio delle armi, perché di pane e non di fucili abbiamo bisogno».

E nel messaggio Urbi et Orbi, alla città di Roma e al mondo, ha ribadito il messaggio delle Nazioni Unite per il cessate il fuoco globale e immediato in tutti gli angoli del mondo, aggiungendo: « Non è questo il tempo in cui continuare a fabbricare e trafficare armi, spendendo ingenti capitali che dovrebbero essere usati per curare le persone e salvare vite».

Come è evidente a tutti, oggi ci troviamo, infatti, davanti ad una crisi economica che non fa sconti e di cui siamo solo all’inizio.

Alcune famiglie, a causa della perdita del lavoro, non riescono a rifornirsi di beni essenziali; le poche mense dei poveri ancora aperte hanno file difficili da gestire; gli ospedali non hanno un numero sufficiente di attrezzature adeguate a fronteggiare l’emergenza e gli stati hanno dovuto fare ricorso a fondi speciali, intraprendendo misure eccezionali.

Avremmo reagito meglio investendo nel welfare e nel comparto sanitario quei fondi destinati alla produzione di armi e materiale bellico? Di che numeri parliamo?

A questo proposito sono emblematici i dati dell’ Istituto Internazionale di Ricerche sulla Pace di Stoccolma (SIPRI) che ha da poco reso pubblici i trasferimenti di armamenti degli stati nell’anno 2019.

È giusto ricordare che l’istituto non annovera le armi di piccolo calibro che rappresentano buona parte del commercio mondiale, ma analizzando i dati è chiaramente visibile quella che il papa, di ritorno lo scorso anno dal Giappone, ha chiamato “ipocrisia armamentista”.

Se guardiamo i dati relativi all’Italia, il nostro Paese ha consegnato nel biennio 2018-2019 circa 50 missili Marte-2 antinave agli Emirati Arabi, impegnati nella guerra in Yemen a supporto della fazione saudita. In questa stessa fazione del conflitto c’è il Bahrein, che ha ricevuto dal nostro Paese negli ultimi due anni quattro radar che servono a controllare il tiro dei missili.

Il conflitto provoca, come è noto, un numero elevatissimo di morti civili, tra i quali i bambini. Altre commesse in via di completamento sono relative sempre a Paesi coinvolti nel conflitto come Arabia Saudita, Kuwait e Qatar.

Un focus a parte va fatto sulla Turchia che, impegnata nel conflitto in Siria, ha ricevuto fino al 2019 più di 50 elicotteri da combattimento A-129C Mangusta fabbricati dall’industria dell’aerospazio turca e, in parte, prodotti nella stessa penisola anatolica in partenariato con l’azienda italiana Leonardo. Quest’ultimo dato indica che il tipo di trasferimento di armi, oltre alle risorse, include anche le competenze tecniche.

Il discorso si potrebbe allargare a tanti Paesi. La Francia ha venduto all’Arabia Saudita 250 unità del più recente ed efficace missile antiaereo a medio raggio, MICA, e circa 100 veicoli blindati nel biennio 2018-2019.

Sono solo alcuni esempi che ci possono condurre a prendere sul serio l’appello urgente del papa e comprendere in quali settori sia prioritario un forte investimento economico, diminuendo sempre più le spese per un’economia che “uccide”.

Per approfondire

No armi ma ospedali? il perchè di un tabù

Come abbiamo armato Erdogan

Il libro di Maurizio Simoncelli, edito da Città Nuova,

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