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Italia > Riflessioni

Pandemia e comunicazione: cosa abbiamo imparato?

di Giuseppe Pellegrini

- Fonte: Città Nuova

Giuseppe Pellegrini

La confusione informativa, la gestione dell’incertezza e il ruolo degli esperti

Kim Jong Un (AP Photo/Lee Jin-man, File)

L’emergenza provocata dallo scoppio della pandemia ha messo sotto pressione le autorità pubbliche di tutti i paesi per rispondere con urgenza alle necessità di salute collettiva. Anche il sistema dell’informazione è stato messo a dura prova, dovendo fornire informazioni e indicazioni provenienti dalle comunità scientifiche e dalle autorità pubbliche muovendosi tra incertezze e scarsa conoscenza del virus. Abbiamo assistito a un incessante flusso di messaggi in tutti i media tanto che l’Organizzazione mondiale della sanità ha coniato il termine “infodemia” per descrivere questo incontenibile insieme di informazioni.

Virologi, epidemiologi, medici e esperti di vari ambiti sanitari sono stati presenti nei media come forse mai nella nostra storia recente. Un fenomeno inedito che ci ha permesso di ascoltare scienziati e ricercatori fino a poco tempo fa sconosciuti e attivi nell’ombra del proprio lavoro e della comunità professionale. Essi sono stati attori protagonisti assieme ad altri di una comunicazione pubblica pervasiva, necessaria ma anche a volte confusa.

Sul fronte comunicativo – in questa situazione senza precedenti – si sono evidenziati due fenomeni rilevanti.

Gestione dell’incertezza e comunicazione pubblica

Di fronte a un virus di cui ancora oggi sappiamo poco, le autorità pubbliche, gli esperti e i media si sono trovati a rispondere a una crescente domanda di conoscenza. In linea di principio, per fronteggiare queste emergenze, esistono dei protocolli di comunicazione che prevedono un certo accordo tra decisori, esperti e mondo dei media. Tali procedure sono state completamente disattese perché l’emergenza e la forte azione dei media hanno favorito iniziative di singoli protagonisti non sempre concertate con le autorità pubbliche.

Non di rado si è assistito, nell’arco di una trasmissione televisiva o di un notiziario, alla proposta di punti di vista alternativi e opposti sulla medesima questione. Allo stesso modo, molti esperti sono stati interpellati su questioni di non diretta responsabilità e hanno preso posizioni piuttosto contraddittorie.

Nonostante gli Italiani abbiano mediamente un buon grado di fiducia nei confronti delle istituzioni scientifiche e degli scienziati, nel corso del periodo di pandemia hanno manifestato forti perplessità nei confronti del modo di comunicare degli scienziati. I dati dell’Annuario Scienza Tecnologia e Società 2022[1] evidenziano che tra il mese di aprile 2020 e maggio 2021 si è passati dal 42% a quasi il 70% di cittadini che pensano che gli esperti abbiano espressi pareri troppo diversi, creando confusione.

Non è certo facile regolare la comunicazione pubblica e non si possono far tacere le voci o imporre protocolli rigidi. Viviamo fortunatamente in un regime di libera opinione, ma coniugare incertezza e ricerca scientificamente provata è un compito importante anche se difficile e foriero di effetti poco prevedibili.

Ruolo e responsabilità degli esperti nella scena pubblica

In questi due anni di pandemia abbiamo assistito a un evento senza precedenti: la discussione aperta e il confronto tra i ricercatori nell’arena pubblica. Normalmente, quando i ricercatori di tutte le discipline devono affrontare nuovi fenomeni, lavorano e discutono all’interno della propria comunità scientifica misurandosi con posizioni diverse e valutando tutte le opzioni possibili.

Questa modalità, tipica del mondo della ricerca, permette di mettere a confronto in modo spesso acceso e anche conflittuale, pareri diversi, studi da validare, effetti ritenuti validi. Nel caso del Sars-CoV2, questa discussione è avvenuta a porte aperte, in un regime di completa trasparenza. Questo è infatti il modo in cui funziona la scienza: poche certezze, molti dubbi e continui ripensamenti per raggiungere posizioni sempre più accettabili.

Si deve considerare, però, che in un ambito di comunicazione pubblica, di emergenza sanitaria e di gestione della salute pubblica, questo tipo di comunicazione genera normalmente spaesamento, diffidenza e senso di insicurezza.

Non è compito degli scienziati offrire sicurezze e certezze sulle misure da adottare per fronteggiare una pandemia. Essi possono fornire pareri e informazioni su dati certi a quel preciso momento e non sicuramente verità assolute. È semmai il ruolo della politica, dei decisori pubblici, quello di indicare le misure da adottare e le procedure di contenimento. Non si deve dimenticare, poi, la responsabilità dei cittadini nell’applicare tali misure e su questo punto possiamo dire che gli Italiani sono stati mediamente capaci di assumere questo impegno.

In questi due anni, abbiamo visto una sovraesposizione degli esperti che in qualche modo ha confuso i piani sviluppando un eccesso di visibilità, spesso alimentata dai media, ma anche cercata dagli stessi scienziati. Poche volte abbiamo sentito ammettere di non sapere oppure che non si ha la competenza per il tema proposto.

Per una comunicazione pubblica sostenibile

La comunicazione pubblica sui temi scientifici ha subito negli ultimi anni un’accelerazione fortissima anche per la potenza dei cosiddetti new media. I social e il web offrono notizie da parte di comunicatori di professione, ma permettono anche a chiunque di diventare autore di informazioni che possono essere più o meno credibili.

L’insieme di queste azioni aumenta la complessità e spesso anche la confusione informativa e anche il cosiddetto fenomeno delle fake news.

Un buon servizio comunicativo, invece, invita alla riflessione, alla necessità di approfondire anche autonomamente e, quando necessario, anche al silenzio.

[1] Pellegrini G., Rubin A. (2022) Annuario Scienza Tecnologia e Società. Con un approfondimento sul rapporto tra cittadini e salute. Bologna, Il Mulino.

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