Paktika, Afghanistan: terremoto magnitudo 5.9

Le notizie che arrivano da Paktika sono poche e terrificanti: una provincia quasi completamente distrutta dal terremoto a cui sono seguite piogge torrenziali.
(AP Photo/Ebrahim Nooroozi)

Le poche immagini che arrivano da Paktika sono terrificanti, un paese l’Afghanistan già in ginocchio dall’agosto dello scorso anno, quando le truppe della NATO hanno completato l’annunciato ritiro ed hanno lasciato mano libera ai nemici combattuti per 20 anni: i Talebani. Un sistema sanitario al collasso che, dopo il terremoto di poche ore fa, è crollato, non potendo far fronte alle richieste di aiuto della gente.

È quanto ha affermato Abdul Qahar Balkhi, un ufficiale Talibano, affermando che: «Il governo non ha, dal punto di vista finanziario, i mezzi per soccorrere le persone per i bisogni di cui necessitano». E come potrebbe, del resto? Già dall’agosto del 2021, con la completa uscita di scena delle Forze Alleate, il paese è piombato letteralmente nel buio, mancando energia elettrica, cibo, medicine, infrastrutture oltre che diritti umani: praticamente in Afghanistan manca tutto, escluso le armi.

Quelle abbondano, ma non sfamano nessuno, né possono soccorrere nessuno. Le armi dell’Afghanistan, quelle lasciate dai Russi e dalle forze alleate, le mine anti-uomo, come ben ha descritto Gino Strada, continuano a mietere vittime, giorno dopo giorno: soprattutto bambini.

Alla notizia del terremoto, dell’ennesima sciagura per questa gente, lo sconforto degli analisti della regione è stato totale. Il paese, senza soldi e senza infrastrutture, non è in grado di far fronte praticamente a nessuna emergenza, perché già la vita quotidiana è un’emergenza per la popolazione. Vivere, restare vivi a Kabul, a Kandahar oppure ad Herat, dove era il contingente italiano durante la guerra, è un’emergenza quotidiana.

Il capo delle Nazioni Unite, António Guterres, ha affermato che l’agenzia è pronta per intervenire in aiuto di questo disastro. «I team medici, le vettovaglie mediche, cibo e rifugi di emergenza sono in viaggio per la zona del terremoto», fanno sapere dalle Nazioni Unite. Ma Mohammad Amin Huzaifa, capo del dipartimento dell’informazione per la provincia di Paktika, ha affermato che «sarà molto difficile per le squadre di soccorso raggiungere le aere colpite, in quanto oltre al terremoto, ci sono anche delle inondazioni causate dalle forti piogge della scorsa notte».

Possiamo davvero dire che in Afghanistan “piove sul bagnato”. Un bagnato, questo, che dura da troppo tempo. Giusto qualche dettaglio della storia moderna di questo paese: 10 anni di guerra sanguinosa con i Russi, dal 1979 al 1989; poi gli americani e la NATO, per 20 lunghi anni.

E ora, senza soldi e senza infrastrutture, appoggiandosi solo ai pochi aiuti dei paesi limitrofi e a quelli ‘quasi inesistenti’ degli altri paesi arabi e mussulmani: questo è l’Afghanistan di oggi, «devastato da pulci e pidocchi, temuti dalle truppe Alleate come le pallottole dei Talebani».

Un paese che per il 98% manca di cibo e che si è visto usare i propri soldi per pagare le vittime del 9/11 da parte del Presidente Biden. Una mossa criticata persino da alcune famiglie delle vittime del 9/11, e per molti aspetti di dubbia legalità.

Quei 7 miliardi di dollari nelle banche newyorkesi, che per la maggior parte appartengono alla gente ed anche ai piccoli risparmiatori afghani, servirebbero proprio in un momento di grande emergenza come l’attuale. Intanto, questo terribile terremoto, che si è fatto sentire fino in Pakistan ed in India, lascia sotto le macerie, secondo le prime stime più ottimistiche, circa 1.000 persone.

Ma nessuno potrà mai sapere in realtà quante persone siano sotto le macerie, in quanto per il crollo di strade non si può raggiungere la zona, e per il crollo delle poche torrette per le comunicazioni non si riesce a comunicare con la zona. A 44 chilometri a sud di Khost, la terra continua a tremare e sotto le macerie molta gente giace senza speranza di aiuto.

La mia prima reazione a queste notizie è stata di grande sconforto e d’impossibilità di fare qualsiasi cosa. Cosa farà l’Europa in questo scenario? Storditi dalle notizie della guerra in Ucraina, e dai tormentoni estivi della politica nostrana, non chiudiamo gli occhi per la gente di Paktika: sono esseri umani come noi.

Cerchiamo di fare qualcosa: la gente non ha bisogno di cannoni e missili supersonici: il mondo ha fame di solidarietà e pace. Almeno un pensiero, una preghiera. Almeno quella. E finiamola con le guerre.

 

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