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Paesi sicuri, decideranno i giudici

di Fabio Di Nunno

- Fonte: Città Nuova

Fabio Di Nunno, autore di Città Nuova

Secondo la sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione europea sta ai giudici decidere se il Paese di origine di un migrante sia effettivamente sicuro

Migranti sbarcano a Carrara giugno 2025 ANSA/Michele Giuntini

L’Italia ha stabilito per legge quali sono i cosiddetti Paesi sicuri di origine di migranti richiedenti asilo, in modo che le rispettive domande di asilo si considerano presuntivamente infondate e, pertanto, si applica la procedura accelerata di frontiera che consente il rapido respingimento degli stranieri, altrimenti deve essere applicata la procedura ordinaria.

Questo in base ad una direttiva europea che 2013 recante procedure comuni ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di protezione internazionale, che delinea i criteri che gli Stati membri devono adottare per redigere la lista dei paesi sicuri, come l’assenza di torture, trattamenti disumani, discriminazioni, persecuzioni, in generale il rispetto dei diritti fondamentali dell’individuo. Risale all’ottobre 2024 il decreto-legge presentato dal Governo italiano con la lista dei paesi ritenuti sicuri, rendendola quindi una fonte primaria, superano lo strumento del decreto interministeriale (che, in quanto atto amministrativo, va motivato).

Dunque, attualmente un Paese è considerato sicuro quando non ci sono generalmente e costantemente persecuzioni, come definite anche in una direttiva del 2011, né tortura o altre forme di pena o trattamento disumano o degradante, né pericolo a causa di violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale.

Ebbene, la Corte di Giustizia dell’Unione europea (Ue) ha accolto la tesi dei giudici italiani, che l’avevano adita, sostenendo che un Paese può ritenersi sicuro solo quando lo è in tutto il suo territorio, ma anche quando offre un’adeguata protezione all’intera popolazione, comprese le minoranze, ad esempio determinate categorie di persone discriminate per ragioni di sesso, razza, lingua, religione, opinioni politiche o condizioni personali e sociali.

La Corte di Giustizia dell’Ue ha stabilito che gli Stati membri possano designare Paesi di origine sicuri per accelerare le procedure di asilo se le autorità divulgano le fonti per la loro valutazione, per cui un richiedente asilo può vedere respinta la sua domanda di protezione internazionale in esito a una procedura accelerata di frontiera qualora il suo Paese di origine sia stato designato come sicuro ad opera di uno Stato membro.

Il riconoscimento di Paese sicuro può sì essere fatto con un atto legislativo, come in Italia, ma solo a condizione che si attui un controllo giurisdizionale effettivo sul rispetto quei criteri basati sui diritti fondamentali stabiliti da quella direttiva europea, garantendo quindi la trasparenza e l’accessibilità delle informazioni acquisite per stabilire se un apese è sicuro o meno.

Il Governo italiano si è detto sorpreso per «la decisione della Corte di Giustizia Ue in merito ai Paesi sicuri di provenienza dei migranti illegali», osservando che «ancora una volta la giurisdizione, questa volta europea, rivendica spazi che non le competono, a fronte di responsabilità che sono politiche», sostenendo che «la Corte di Giustizia Ue decide di consegnare a un qualsivoglia giudice nazionale la decisione non sui singoli casi, bensì sulla parte della politica migratoria relativa alla disciplina dei rimpatri e delle espulsioni degli irregolari».

In tal modo, «per l’individuazione dei cosiddetti Paesi sicuri fa prevalere la decisione del giudice nazionale, fondata perfino su fonti private, rispetto agli esiti delle complesse istruttorie condotte dai ministeri interessati e valutate dal Parlamento sovrano», stigmatizzando una ulteriore riduzione dei «già ristretti margini di autonomia dei Governi e dei Parlamenti nell’indirizzo normativo e amministrativo del fenomeno migratorio», indebolendo «le politiche di contrasto all’immigrazione illegale di massa e di difesa dei confini nazionali».

Orbene, la sentenza della Corte di Giustizia dell’Ue avrà un impatto anche su quegli Stati membri dell’Ue che volevano intraprendere la controversa pratica italiana di inviare alcuni richiedenti asilo salvati in mare nei centri di espulsione all’estero. Infatti, sebbene l’Italia possa ancora utilizzare i centri di permanenza per il rimpatrio allestiti in Albania, nelle città di Shengiin e Gjader, dove vengono inviati solo coloro che sono in attesa di rimpatrio e che hanno già ricevuto un decreto di espulsione, adesso sarà necessaria una disamina più attenta delle istruttorie per garantire che i richiedenti asilo non vengano rimandati nei loro paesi d’origine se possano trovarsi ad affrontare situazioni pericolose.

Nel 2023, la presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, e l’allora presidente del Consiglio europeo, Charles Michel, elogiarono l’accordo con l’Albania e, nel maggio 2024, l’Ue varò una serie di riforme volte a semplificare l’approccio europeo alla gestione delle migrazioni e dell’asilo, in particolare per quanto riguarda i migranti provenienti dai cosiddetti paesi sicuri. Ancora oggi, la Commissione europea e paesi come la Danimarca, la Germania o la Francia, sono favorevoli alla pratica italiana dei centri di espulsione in Paesi terzi.

C’è chi, come Sabino Cassese, presidente emerito della Corte costituzionale, in un’intervista al Foglio, teme che la sentenza della Corte di Giustizia dell’Ue rischi di frammentare l’applicazione del diritto nei vari Stati membri dell’Ue, da giudice a giudice.

Comunque, la sentenza della Corte di Giustizia dell’Ue non potrà che avere un impatto anche sui nuovi regolamenti europei in materia di asilo, che entreranno in vigore a giugno 2026, concepiti per consentire agli Stati membri di creare i propri elenchi di paesi sicuri per accelerare ed esternalizzare la procedura di asilo.

Il fatto che la Corte di Giustizia dell’Ue abbia statuito che un Paese di origine possa essere considerato sicuro solo dopo un effettivo controllo giurisdizionale, nonché che questo sia sicuro per tutta la sua popolazione, apre scenari nuovi che tocca ora ai governi nazionali affrontare, mentre resta da vedere se questa sentenza dissuaderà altri Stati membri dall’istituire centri di detenzione in paesi terzi.

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