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Pace disarmata e disarmante: le due anime gemelle del pacifismo

di Pasquale Ferrara

L’importanza delle istituzioni internazionali e organizzazioni multilaterali. Per i 70 anni di Leone XIV pubblichiamo questa riflessione del nostro collaboratore sulle parole del papa

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Tra le prime parole pronunciate dal Leone XIV dopo l’elezione, c’è l’espressione “una pace disarmata e disarmante”. A parte le interpretazioni etiche e pastorali di questa formula che ha subito colpito il grande pubblico per la sua pregnante incisività e, al contempo, per la sua potenza evocativa di un mondo diverso da quello piagato da corsa agli armamenti e da conflitti devastanti, come “leggere” queste parole nell’ottica della politica internazionale?

La pace, si potrebbe dire, al pari della guerra (o di come evitarla) è il fondamento stesso delle relazioni internazionali, anche se molti leader tendono oggi a dimenticarlo. Tuttavia, oggi torna in auge il concetto della deterrenza, coniugato nei termini delle pur necessarie “garanzie di sicurezza” (per esempio nel caso dell’Ucraina). Al di là dei casi specifici, riprende però vigore l’idea di una pace “armata”. Si vis pacem para bellum (se vuoi la pace, prepara la guerra) non è più solo un motto latino ripetuto meccanicamente nei circoli militari, ma è diventato una politica, quella del riarmo, che coinvolge l’Europa (con il programma “Rearm Europe”) e l’intera Nato, che ha elevato le spese militari alla soglia impensabile del 5% del prodotto interno lordo.

Quindi parlare di una pace disarmata è già di per sé una contestazione di questa politica marziale, un richiamo ad un pacifismo critico e responsabile, che riporta nel cuore del discorso irenologico la prospettiva del pacifismo strumentale, secondo la definizione di Norberto Bobbio, e cioè l’eliminazione o la riduzione dei mezzi bellici, verso un disarmo graduale e bilanciato.

Ancora più interessante è il riferimento di Leone XIV all’idea di una “pace disarmante”. Qui il discorso si fa più complesso, e può essere ricondotto, almeno in parte, al concetto di “pacifismo istituzionale” di Bobbio. Se fossero gli attori egemoni a disarmare gli Stati ritenuti minacciosi (come nel caso dei massicci attacchi americani ai siti nucleari iraniani), ciò non potrebbe non avvenire (come di fatto accade) che con il ricorso illegale allo strumento militare, in modo unilaterale e selettivo.

All’estremo opposto, nemmeno può essere efficace il principio solo politico-ideale della rinuncia alla guerra come strumento di politica internazionale, se non accompagnato da un quadro normativo e istituzionale. Sono queste carenze di fondo che – a titolo di esempio – resero privo di effetti il Patto Briand-Kellogg (o Patto di Parigi) del 1928 sul principio del non ricorso alla guerra nei rapporti tra gli Stati.   Al contrario, il concetto di una pace disarmante rimanda al ruolo non dei governi, ma delle istituzioni internazionali e organizzazioni multilaterali, perché è proprio l’appartenenza a questi consessi che “disarma” veramente gli Stati, in nome della leale collaborazione, della prevedibilità reciproca, del principio della sicurezza collettiva e della risoluzione delle controversie per via pacifica.

Già Immanuel Kant, nel suo progetto di pace perpetua, aveva identificato in una “lega” di popoli (il foedus pacificum, una federazione di pace, un Völkerbund) la chiave per far finire non una guerra (come in un trattato di pace, pactum pacis) ma tutte le guerre. Ridurre o rendere sempre meno rilevante la funzione delle istanze internazionali – come sta avvenendo nel quadro di un crescente disordine mondiale e del ritorno in auge della politica di potenza – equivale, perciò, a sterilizzare o annullare il ruolo “disarmante” che esse hanno, spesso, per statuto (pax per istituta).

Da una parte, la pace disarmata disinnesca, in modo più immediato e funzionale, la politica di potenza, agendo sugli strumenti della violenza tra gli Stati (gli armamenti). Dall’altra, la pace disarmata, agendo ad un livello più strutturale, imbriglia gli stati in una rete politico-istituzionale e in un sistema di norme e regole che rendono assai impervio e costoso in termini reputazionali, sebbene ancora possibile, il ricorso alla guerra di aggressione.

La formula di papa Leone XIV è perciò una felice sintesi delle due “anime gemelle” del pacifismo critico, che conferiscono alla pace una credibilità ed una plausibilità che trova il suo limite non tanto e non solo nella guerra guerreggiata (in quanto effetto di cause più profonde), ma nella guerra continua e nella guerra preventiva, nelle mire egemoniche e nella lotta a tutto campo per il predominio militare, economico, tecnologico.

 

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