A ovest del Giordano

Si avvicina il “redde rationem”, cioè l’annessione di parte della Cisgiordania da parte di Israele? Probabile. Cosa succederà dopo? Nascerà uno Stato di apartheid? Il fronte arabo è diviso
Bambini palestinesi giocano sulle rive del Giordano. (AP Photo/Michele Asselin)

Il 13 maggio il segretario di Stato Usa, Mike Pompeo, è volato a Tel Aviv. Ci è rimasto poche ore. Ha incontrato direttamente il premier Netanyahu e il nuovo presidente del parlamento Gantz, assente l’ambasciatore statunitense. Si pensa che abbiano parlato del Piano Kushner-Trump (il cosiddetto “piano di pace del secolo”), dell’Iran e della Siria. O forse degli affari non graditi da Washington che gli israeliani stanno facendo con i cinesi ad Haifa.

Il nuovo governo israeliano, appena inaugurato, sembra invece tenere in modo particolare all’annessione delle colonie e della riva ovest del Giordano. Netanyahu ha fretta e vorrebbe procedere fin dai primi di luglio, l’ha dichiarato più volte, ed ha sollecitato un via libera dal governo statunitense, che in realtà ha già ricevuto da tempo. Mike Pompeo l’ha ripetuto spesso: «Non crediamo che i palestinesi possano qualificarsi come Stato sovrano». E con ciò intende che solo Israele può decidere sui Territori Palestinesi, ponendo così la parola fine ad ogni discussione sui due Stati. Con l’annessione, le colonie ebraiche e una vasta striscia di terra lungo la riva del Giordano diventeranno parte dello Stato israeliano, dopo oltre 50 anni di occupazione militare. Per adesso l’annessione riguarderà il 30% della Cisgiordania, poi si vedrà.

Il noto scrittore Abraham B. Yehoshua afferma, in una recente intervista, che l’idea dei due Stati, Israele e Palestina, «è morta, l’hanno uccisa le tante colonie [israeliane] che sono state costruite negli ultimi decenni con l’approvazione degli Stati Uniti. L’Europa protesta eppure sino ad oggi non ha fatto nulla di concreto, proprio nulla, per fermare la colonizzazione israeliana».

A proposito di proteste, il giornalista italiano Lorenzo Trombetta, che vive da anni in Medio Oriente e conosce molto bene le dinamiche politiche di queste terre e i giochi di potere che le attraversano, commenta su Limes: «Turchia, Iran, Giordania e Paesi europei abbaieranno senza mordere» di fronte a questa decisione unilaterale.

Un altro noto giornalista esperto di questioni mediorientali, Gideon Levy, che è sì israeliano, ma non indifferente ad una decisione che a suo parere crea più problemi di quanti ne risolva, titola il suo pezzo sul quotidiano Haaretz: “Per i palestinesi l’annessione della Cisgiordania è il male minore”, e scrive con amara ironia: «E così Israele si farà avanti e, con l’incoraggiamento dei noti custodi della pace a Washington, farà riemergere dal torpore questa realtà: annessione. Anschluss. Nelle colline e nelle valli, nella zona C e alla fine in tutta la Cisgiordania. Con nessuno determinato a garantire pari diritti ai palestinesi, Israele dichiarerà se stesso uno Stato di apartheid. Due popoli, uno con pieni diritti e l’altro con nessuno».

Secondo l’ex ambasciatore Usa in Israele (dei tempi di Obama), Daniel B. Shapiro, la Casa Bianca «è probabilmente meno preoccupata sui confini specifici, ma vuole ottenere un risultato con l’annessione israeliana così da far incassare al presidente Trump il sostegno degli evangelici e degli ebrei di destra» nelle presidenziali di novembre prossimo, in tempi di calo dei consensi nei sondaggi elettorali a causa della drammatica disoccupazione scatenata negli Usa dalla pandemia.

Secondo Yehoshua la strada da percorrere sarebbe un’altra, ben diversa, anche se appare oggi improponibile alla maggioranza degli ebrei e, per motivi diversi, a quella dei palestinesi. Una strada che nella sua intrigante follia non manca del fascino di una grande sfida: «Come i palestinesi in Israele anche quelli della Cisgiordania possono e devono ottenere residenza e cittadinanza. Possiamo vivere insieme in un unico Stato senza annullare le nostre rispettive identità», sostiene lo scrittore israeliano.

Il leader palestinese Abu Mazen, da parte sua, rispose così già a febbraio scorso: «Non accetterò l’annessione di Gerusalemme e non voglio passare alla storia come colui che ha venduto Gerusalemme». E a luglio aveva aggiunto: «Gli israeliani devono portare tutta la loro piena responsabilità di potenza occupante». E oggi conferma.

Il re di Giordania, Abdallah II, in un’intervista pubblicata il 15 maggio da Der Spiegel, afferma: «Cosa accadrebbe se l’Autorità nazionale palestinese crollasse? Ci sarebbe più caos ed estremismo nella regione». E aggiunge: «I leader che sostengono una soluzione a uno Stato non capiscono cosa significherebbe». E i leader ai quali fa riferimento non sono forse soltanto quelli israeliani e statunitensi, ma anche quelli dei loro alleati arabi: sauditi, emiratini ed egiziani, che hanno ormai preso le distanze dalla causa palestinese.

 

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