Ospitare le Olimpiadi conviene?

Scade tra poche ore il termine ultimo per richiedere l’organizzazione dei Giochi invernali 2022. In corsa Kazakistan, Cina, Ucraina, Norvegia, Polonia e Svezia. Decisione finale nel luglio del 2015
Comitato olimpico internazionale

Volevano provarci in tante. Voleva provarci Barcellona, ma la prudenza per la crisi economica che da anni colpisce la Spagna ha indotto i rappresentanti della città catalana a fare un passo indietro. Voleva provarci la Svizzera, con la doppia candidatura St. Moritz/Davos, ma anche in questo caso, complice il risultato negativo di un referendum popolare svoltosi nel marzo scorso, non se né fatto più niente. Stessa cosa dicasi per Monaco di Baviera, che ha rinunciato all’ultimo minuto dopo l’esito sfavorevole di una consultazione referendaria che, proprio domenica scorsa, ha coinvolto gli abitanti delle località tedesche eventualmente interessate ad accogliere i Giochi. Così, quando mancano solo poche ore alla scadenza del tempo utile per presentare le candidature, sono sei le città che, salvo colpi di scena, si sfideranno nei prossimi mesi per provare a ottenere l’onore (e l’onere) di organizzare le Olimpiadi Invernali del 2022.

La prima candidatura ufficiale arrivata sul tavolo del CIO (il Comitato Olimpico Internazionale), è stata in ordine cronologico quella avanzata da Almaty, la città più popolosa del Kazakistan situata alle pendici dei monti Zailijski Alatau, alla frontiera con il Kirghizistan. Poi è stata la volta di Lviv, più conosciuta come Leopoli, ovvero uno dei maggiori centri culturali dell’Ucraina occidentale che conta quasi 800 mila abitanti e che dista circa 150 chilometri dai monti Carpazi. In seguito, è arrivata un po’ a sorpresa anche la candidatura avanzata dalla Cina, che tenterà di giocarsi le sue carte con il duo formato da Pechino (già sede dei Giochi estivi del 2008) e Zhangjiakou (città del nord del Paese con circa 4.500.000 di abitanti), anche se francamente in questo caso le possibilità di successo appaiono abbastanza remote considerando che il continente asiatico ospiterà già le Olimpiadi invernali del 2018 (a Pyeongchang, in Corea del Sud), e quelle estive del 2020 (a Tokyo, in Giappone).

Infine, proprio nelle ultime ore si sono aggiunte Stoccolma, la capitale svedese che in caso di elezione diventerebbe la prima città a ospitare un’edizione estiva e una invernale dei Giochi Olimpici, Cracovia, anche se la proposta polacca in realtà riguarda due diverse nazioni visto che le gare di sci alpino si disputerebbero a Jasna, in Slovacchia, mentre per ultima è arrivata quella che, almeno sulla carta, sembra essere la grande favorita per l’assegnazione di queste Olimpiadi. Parliamo di Oslo, capitale di una Norvegia che proverà a ospitare per la terza volta nella storia i Giochi invernali dopo quelli del 1952 (disputati sempre a Oslo), e del 1994 (svoltisi a Lillehammer). Il prossimo appuntamento sarà ora tra quattro mesi, quando è prevista la sottoscrizione ufficiale delle candidature, mentre la scelta definitiva sarà poi fatta il 31 luglio 2015 a Kuala Lumpur, in Malesia.

Ma ospitare le Olimpiadi conviene davvero oppure no? Su questo tema, i pareri sono spesso assai discordanti. C’è chi vede nell’organizzazione dei Giochi a cinque cerchi una grande opportunità per il Paese che li accoglie: si possono fare investimenti per opere pubbliche e infrastrutture, si può valorizzare il territorio per incrementare il turismo, si possono creare nuovi posti di lavoro e far ripartire l’economia di quella determinata nazione. Chi propende per questa tesi, porta come esempio più “luminoso” il caso dei Giochi di Barcellona 1992. Un esempio ritenuto “vincente”, con una città che grazie agli investimenti fatti in quell’occasione è stata effettivamente restituita all’Europa come nuova, in tutto il suo splendore.   

Di contro, l’organizzazione di un mega evento come le Olimpiadi rappresenta certamente anche un “mega rischio”, perché è un dato di fatto che spesso, in passato, agli organizzatori dei Giochi le cose siano un po’ sfuggite di mano. Prendete ad esempio quanto accaduto in occasione dell’edizione estiva di Atene 2004, con investimenti faraonici, molto più alti di quanto inizialmente preventivato in sede di candidatura, e un salasso economico determinato dal fatto che in quella circostanza fu effettivamente speso molto più di quanto si sarebbe dovuto (e potuto) spendere. Tanto che molti, anche se in realtà è difficile stabilirlo con assoluta certezza, ritengono che la crisi che ha colpito Atene e tutta la Grecia negli ultimi anni sia cominciata proprio a causa delle conseguenze finanziare derivate dall’onerosissima organizzazione di quella edizione dei Giochi.

La verità, come spesso accade, sta forse proprio nel mezzo. Ospitare un evento come le Olimpiadi tutto sommato può ancora convenire. Ovviamente, però, solo a patto che le cose siano effettivamente fatte nella maniera giusta. Come sembra essere accaduto proprio in occasione degli ultimi Giochi estivi disputati a Londra nel 2012. Aldilà del rapporto conclusivo (non privo di alcune contraddizioni) pubblicato questa estate dal governo presieduto da David Cameron, secondo cui i Giochi avrebbero addirittura generato un bilancio economico positivo (12 miliardi di euro di entrate rispetto a 10 di uscite), gli organizzatori inglesi hanno dimostrato infatti che si può ancora organizzare una grande manifestazione sportiva lasciando in eredità alla città e alla nazione ospitante qualcosa di buono.

Si pensi, in particolare, alla massiccia riqualificazione dell’East End, in precedenza una delle aree più povere della capitale britannica e ora dotata invece di abitazioni, uffici, centri commerciali e servizi che prima non c’erano. Ma si pensi ad esempio anche ai miglioramenti effettuati in tutta la città sulle strutture per disabili (3 autobus su 4, tanto per dirne una, sono oggi capaci di accogliere a bordo persone in carrozzina). O, ancora, a passi avanti non quantificabili economicamente ma altrettanto significativi, come l’incremento fatto registrare nella pratica sportiva da parte dei cittadini britannici, favorito certamente dell’entusiasmo suscitato dalle tante medaglie vinte dagli atleti di casa, ma anche, nel caso specifico dei londinesi, dal miglioramento delle strutture sportive esistenti.

Le città che in questi giorni hanno chiesto l’organizzazione dei Giochi invernali del 2022 proveranno a seguire l’esempio inglese. Anche se non sarà facile.

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