Ospedali senza medici

Entro i prossimi 6 anni potrebbero mancare circa 16 mila specialisti. Sono molti, infatti, i medici, che potrebbero scegliere di andare in pensione approfittando della “Quota 100”. Già oggi molte regioni sono in difficoltà e così c’è chi richiama i pensionati, chi ricorre ai medici militari, chi li “affitta” e chi ricorre agli immigrati. Pubblichiamo l'articolo tratto dal n. 7/2019 di Città Nuova

Il problema non è nuovo, ma da qualche tempo ha assunto dimensioni tali da guadagnarsi gli onori delle cronache: stiamo parlando della carenza di medici specializzati negli ospedali italiani, causata dalla concomitanza dell’impennata della curva dei pensionamenti e della scarsità di borse di specializzazione per i giovani. Il problema non è tanto il numero di ingressi consentito alla Facoltà di Medicina, quanto quello dei (molti meno) posti di specializzazione disponibili poi: una discrepanza che fa sì che, ad oggi, in Italia ci siano circa 15 mila “camici grigi”, ossia medici che, non avendo avuto accesso ad alcuna specializzazione, si barcamenano tra disoccupazione e contratti a tempo determinato. Il tutto mentre, secondo le stime di Anaao-Assomed (il sindacato dei medici e dei dirigenti del Servizio sanitario nazionale), da qui al 2025 si prospetta un ammanco di 16.700 specialisti – soprattutto pediatri e anestesisti: nel triennio 2019-2021 si prevedono infatti circa 20 mila pensionamenti, e oltre 50 mila considerando il periodo fino al 2025. Colpa, o merito, del pensionamento anticipato consentito da “Quota 100”, ma anche del fatto che abbiamo una classe medica tra le più vecchie d’Europa (oltre la metà dei nostri camici bianchi ha più di 55 anni). Una distribuzione d’età che provocherà un picco di pensionamenti di qui ai prossimi 5-6 anni, ma che calerà in maniera drastica tra poco meno di 10: esattamente la data in cui sarebbero pronti a prestare servizio i giovani che iniziano a studiare adesso, rendendo inutile aumentare ora gli ingressi alla Facoltà di Medicina. L’unica via sembra dunque quella di incrementare le borse di specializzazione: già il ministro Grillo le ha portate a 8 mila l’anno, dopo l’aumento da 5 a 6 mila avvenuto nel 2015. Ma le stime del sindacato parlano della necessità di almeno 10 mila. Che fare dunque? Le varie Regioni si stanno “ingegnando” come possono, e con soluzioni non esenti da critiche.


VENETO

Tornano in servizio i pensionati. Previste nuove borse di specializzazione per i giovani

Capofila è stato il Veneto, ma è presto stato seguito da Friuli Venezia Giulia, Piemonte e Molise; e anche in Sicilia l’assessore alla Sanità Razza ha recentemente prospettato questa possibilità. Ossia, quella di richiamare a tempo determinato medici in pensione al di sotto dei 70 anni: soluzione bipartisan a livello politico e trasversale da Nord a Sud, ma fortemente criticata dalle associazioni di categoria. Adriano Benazzato, segretario regionale Veneto di Anaao-Assomed, ha infatti ricordato come solo in questa Regione esistano 6.200 specializzandi all’ultimo anno che avrebbero diritto ad accedere ai concorsi per l’assunzione: meglio sarebbe stato percorrere questa strada. Il Veneto, però, era salito agli onori delle cronache anche per aver proposto di assumere laureati da far specializzare in ospedale, direttamente nei reparti, mutuando un modello già in uso negli anni ’80. Sarebbero stati inquadrati con un contratto a tempo determinato e con uno stipendio base, non più con una borsa di studio; e avrebbero dovuto sostenere alla fine un concorso pubblico, superato il quale avrebbero potuto essere assunti a tempo indeterminato (come chi ha terminato la specializzazione “canonica”).

La cosa però ha incontrato l’opposizione delle associazioni di categoria, che temono un sistema “di serie B”; né si è giunti a un accordo in tal senso con il Miur. La Lega ha comunque depositato a fine aprile in Senato un disegno di legge volto a disciplinare il “doppio canale”, per cui non è escluso che in futuro si arrivi a questa soluzione. Intanto la Regione guidata dal presidente Zaia, con una delibera del 4 giugno, ha finanziato 90 borse di specializzazione (in aggiunta alle oltre 400 già messe a disposizione del Miur in Veneto), per quasi 10 milioni di euro; a riprova che l’emergenza è sentita.


PUGLIA

Gli italiani scappano all’estero, in corsia arrivano medici militari e stranieri

Anche questa è una (costosa) soluzione bipartisan e diffusa da Nord a Sud. A fare notizia è stata soprattutto la convenzione (non ancora operativa) tra l’azienda sanitaria di Treviso e l’università romena di Timisoara, per una decina di medici da “importare”; ma il fenomeno assume dimensioni ancor più rivelanti in Puglia dove – ha riferito l’Associazione medici di origine straniera in Italia (Amsi) – sono arrivate ben 300 richieste di medici dall’estero. Certo, l’Amsi non registra soltanto le richieste del sistema pubblico, ma anche quelle delle cliniche private; ad ogni modo, secondo il presidente Foad Aodi, l’incremento dal pubblico è stimabile nell’ordine del 15%. Il tutto mentre, come ha ricordato la provocatoria campagna “Offre l’Italia” lanciata proprio a Bari dalla Federazione degli ordini dei medici (Fnomceo), i nostri laureati se ne vanno all’estero: sono 1.500 i giovani che ogni anno lasciano l’Italia con la prospettiva di retribuzioni e condizioni di lavoro migliori, per un costo stimato di oltre 255 milioni di euro per il nostro sistema universitario che li ha formati. Se i medici non arrivano dall’estero, possono arrivare anche da altre Regioni: è il caso ad esempio degli specialisti in oculistica che, come ha recentemente raccontato la Tribuna di Treviso, ogni giorno fanno in Frecciarossa tra andata e ritorno i mille chilometri che separano la cittadina veneta dalla capitale. Una soluzione evidentemente costosa e poco efficiente, ma adottata anche in altre parti del Nord Italia.

Esiste poi una terza soluzione di “importazione”, quella sperimentata in Molise: qui, a fronte del rischio di chiusura di alcuni reparti negli ospedali di Isernia e Termoli, sono stati chiamati 105 medici militari. Una via prospettata come “ultima spiaggia” dal commissario alla Sanità, Angelo Giustini, e ritenuta temporanea, ossia fino all’approvazione del cosiddetto “decreto Calabria” (che, pur portando nel nome il riferimento ad una specifica Regione, va ad incidere sulla formazione, nonché su concorsi e assunzioni dei medici anche a livello nazionale).


TOSCANA

Formazione “sul campo” per 150 non specializzati

Non si tratta di corsi di specializzazione, ma più semplicemente di formazione per coprire le necessità immediate: è la soluzione applicata in Toscana (con una carenza di quasi 1.800 unità), dove a inizio giugno è partito il reclutamento di medici non specialisti da destinare ai Pronto soccorso dell’Ausl Toscana Centro. Sono state quasi 300 le domande per 150 posti, e l’auspicio è di poter inserire i medici a formarsi “sul campo” già a fine luglio. Sempre la Toscana ad aprile ha avviato una soluzione simile a quella prospettata dal Veneto, ossia l’assunzione di neolaureati con contratti di formazione lavoro nei Pronto soccorso: in questo caso però non si tratta di un percorso alternativo alla specializzazione, ma rimane il principio di formazione sul campo per coprire le necessità immediate. Anche la Campania sta adottando la soluzione dei corsi di formazione per sopperire alle carenze di personale nei Pronto soccorso nel periodo estivo.

La situazione dunque non è di semplice risoluzione; se non altro perché le necessità di medici sono immediate, mentre i tempi di formazione, o anche semplicemente di indizione dei concorsi, sono più lunghi. Nel frattempo c’è anche chi, per affrontare un’operazione, è disposto ad “affittare” gli specialisti mancanti nel proprio ospedale, attraverso apposite agenzie.

Anaao-Assomed ha lanciato un manifesto in 5 punti per affrontare il problema: attivare i concorsi a tempo indeterminato, assumere a tempo determinato gli specializzandi dell’ultimo anno, incrementare i contratti per la formazione post lauream, assumere neolaureati con contratti di formazione lavoro solo se inseriti in un percorso di specializzazione, rendere più effettivo il lavoro in ospedale attraverso la conclusione del contratto fermo da 10 anni. Alcuni di questi punti si stanno già, almeno parzialmente, percorrendo: l’auspicio è quindi che si possano ottenere risultati concreti.

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