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One-to-one e felicità interiore

di Michele Genisio

- Fonte: Città Nuova

Per generare veri cambiamenti interiori non servono i social o le grandi manifestazioni: sono necessari i rapporti personali, faccia a faccia. Senza fretta.

Alcuni studiosi affermano che pur in un’epoca in cui i social spingono a livelli impensati la capacità di comunicare e consentono alle idee di diffondersi rapidamente, i cambiamenti importanti della vita, quelli che con una parola ormai desueta si chiamano conversioni, si verificano soprattutto secondo la traiettoria dell’uno a uno (one-to-one). Cioè attraverso i rapporti personali.

Le grandi manifestazioni (un ricordo lontano al tempo del Covid) e l’immensa possibilità di comunicazione offerta dai social – Twitter, Instagram, Facebook, Tik Tok, Linkedin, Clubhouse e compagnia bella – pur portando a interazioni sempre più serrate tra user di tutto il globo, producono in genere adesioni superficiali. E si dimostrano inefficaci per quanto riguarda i cambiamenti interiori. Che, almeno per alcuni, sono quelli che contano.

Inoltre, secondo l’antropologo britannico Robin Dunbar, nella struttura del nostro cervello la neocorteccia, che è sede delle funzioni cognitive superiori, permette di mantenere un numero di circa 150 relazioni sociali stabili. Ossia relazioni nelle quali un individuo conosce abbastanza approfonditamente l’identità di ciascuna persona ed è perciò in grado di interagire con essa in modo significato. 150 è ormai conosciuto con il nome di “numero di Dunbar”, che è ben lontano dalle mirabolanti cifre di followers che sono vantate dai social.

150 relazioni sono un numero arcaico, che risale alla preistoria. Più tardi, una setta anabattista, gli hutteriti, dividevano le loro comunità quando raggiungevano i 150 membri. È più o meno all’interno di questo numero di Dunbar che si inserisce la possibilità del one-to-one efficace. Insomma, alcune cose nel corso dei secoli sono rimaste uguali.

Andando al passato, si ritiene che attorno all’anno 40 – una decina d’anni dopo Gesù – i cristiani fossero circa mille, di cui la maggior parte stava a Gerusalemme. Attorno al 300 erano sei milioni diffusi in gran parte dell’Impero Romano. In poco più di duecento anni c’era stata una crescita lenta ma inesorabile, destinata a cambiare lo stesso Impero. Il fatto singolare è che tutto questo è avvenuto principalmente con l’uno-a-uno, con il rapporto personale. Perché?

Perché le donne e gli uomini di ogni tempo sono assetati di felicità. Prima del desiderio di comunicare, prima del desiderio di essere protagonisti (almeno per qualche secondo su Tik Tok), c’è la voglia di essere felici.

E quando si vede una persona felice, viene da chiederle: «come mai sei così?». E qui comincia la traiettoria del one-to-one, si spalanca la porta del rapporto personale. Senza di questo non c’è la possibilità di influire seriamente (positivamente) sulle vite degli altri, aiutandoli a realizzare il desiderio del loro cuore: la felicità. Che si può dare solo se si ha. E se si ha, si vede. Ma se non si ha, non ci sono effetti speciali, non c’è webinar o marchingegno HW o SW, che possa supplire.

Edith Stein, la filosofa, racconta che un passo fondamentale verso la sua conversione avvenne vedendo una donna sconosciuta che veniva dal mercato con la borsa della spesa, entrare in una chiesa dove non c’era alcuna funzione in corso. La felicità interiore della donna aveva colpito la colta studiosa, che si era subito resa conto dell’aridità che aveva dentro. E ha cambiato radicalmente la sua vita. Per il meglio.

 

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