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Italia > Dibattiti

Oltre la propaganda, creare spazi di vero dialogo

di Matteo Gianni

In un mondo sempre più polarizzato abbiamo bisogno di creare luoghi di ascolto reciproco, che non annientano le identità ma le rendono più autentiche e più umane

Assemblea studentesca ANSA/ MICHELE GALVAN

Nel 2025 c’è ancora bisogno di parlare di unità e fraternità in politica, oppure è una delle tante illusioni della storia superate dagli eventi?

Credo che oggi più che mai ce ne sia bisogno. C’è bisogno, all’interno di schieramenti culturali e politici che si confrontano aspramente ogni giorno, di qualcuno che sappia leggere oltre la propaganda e la delegittimazione reciproca per portare avanti la storia.

E credo che non vada confuso col moderatismo, cioè con un atteggiamento politico soft che non prende posizione e cerca di edulcorare i messaggi. Non è questo, si tratta invece del coraggio di superare la propaganda ed i messaggi, se non di odio, di disprezzo, che sono ormai il rumore di fondo quotidiano e dire le cose ascoltando però anche la verità dell’altro.

Una frazione del nostro tempo dedicata all’ascolto e al confronto sereno con chi la pensa diversamente da me è un grande atto di civiltà umana, politica e spirituale. Del resto, lo abbiamo visto anche nei recenti accadimenti, è solo la politica, anche sollecitata da mobilitazioni popolari e nonviolente, a cambiare il corso della storia superando la violenza.

Per fare questo ci vogliono anche dei luoghi e delle opportunità fuori dalle sedi istituzionali e mediatiche di confronto: il Movimento Politico per l’Unità si candida a fare questo e nei prossimi mesi, col rinnovo delle cariche in Italia, aprirà un percorso aperto a chi vorrà dare un contributo in questa direzione.

Facciamo qualche esempio: come accennato sopra, credo sia sbagliato criticare o deridere le manifestazioni di piazza o iniziative non violente come la Flotilla perché i movimenti popolari sono un segno di partecipazione e possono incidere sulle scelte politiche e cambiare la storia, basta pensare a Solidarnosc in Polonia negli anni di papa Wojtila. In tal senso la frase di Giorgia Meloni che «la pace si costruisce e non si fa sventolando le bandiere» è poco felice e la annovero nella dose di propaganda quotidiana.

Dall’altro lato organizzare manifestazioni “Pro-Pal” mirate ad una critica unilaterale ad Israele, giusta, tacendo non solo sul 7 ottobre e sul necessario disarmo di Hamas, ma anche sulla responsabilità di questa organizzazione nell’usare scientemente da anni i civili come scudi umani nel conflitto, mi sembra una oggettiva mancanza di obiettività.

Ma, al di là della mia criticabile opinione personale, il punto è il dialogo e il superamento della polarizzazione. Il passo più difficile, paradossalmente, è proprio parlarci tra persone che credono in qualcosa di grande, nel Vangelo come ispirazione di vita, in Dio, in ideali di giustizia e di uguaglianza.

Forse perché credere, talvolta aver dato la vita per grandi ideali, ci porta a non accettare compromessi, a non giocare al ribasso, a dover dire anzi gridare la “nostra” verità tutta intera.

Tutte cose giuste, ma qua entra in gioco proprio l’aspetto che definirei “trinitario” del rapporto con l’altro e della politica: probabilmente io non possiedo tutta la verità, e ci sono buone possibilità che proprio il pensiero che più mi urta ne contenga un semino. Perlomeno provarci. Posso testimoniare che mi è servito molto spostare per qualche tempo le mie idee per poi ritrovarle arricchite anche dalla visione dell’altro. E non ha diminuito il mio slancio ad attuarle, anzi il contrario.

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