Olimpiadi Berlino ’36, la leggenda di Jesse Owens in un documentario

Il docufilm ha una struttura semplice, composta da immagini di repertorio sullo sfondo di testimonianze. In onda sabato 1 agosto alle 21.15 su Sky Documentaries e Now
Foto: LaPresse

In questi giorni di faticose (e belle) Olimpiadi giapponesi, tra le emozioni per le imprese sportive e la preoccupazione strisciante per la crescita dei contagi, uno dei nuovi canali di Sky (Sky Documentaries, inaugurato poche settimane fa) darà la possibilità, sabato 1 agosto alle 21.15, di tornare su una delle edizioni più delicate, a modo loro importanti, famose, di questa grande manifestazione sportiva: quelle di Berlino nel 1936, avvolte nella cappa drammatica del nazismo, di soli tre anni precedenti all’invasione tedesca della Polonia.

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Lo farà con un documentario in prima visione – visibile in streaming anche su Now – dal titolo Olympic Pride – Oltre la leggenda di Jesse Owens, che racconta la storia di tutti i diciotto atleti afroamericani – tra cui due donne – che presero parte a quell’evento, portando a casa diverse medaglie oltre alle quattro leggendarie del grande Jesse Owens.

Il docufilm ha una struttura semplice, composta da immagini di repertorio (video e fotografico) sullo sfondo di testimonianze  – dirette ed indirette  – di quell’avventura. Un bianco e nero sgranato, antico e prezioso, intimo o ufficiale, con immagini spesso suggestive, si stende sotto le parole di numerose persone: a volte figli o parenti dei protagonisti, altre volte campioni olimpici di altre epoche, altre ancora uomini o donne appartenenti al mondo della cultura e della comunicazione, in certi casi le parole stesse dei protagonisti.

Si parla di questo gruppo di atleti insieme al loro essere persone: donne e uomini neri nel contesto non facile dell’America di quegli anni, con le leggi Jim Crow che  almeno in certe zone degli Stati Uniti  tenevano separati i bianchi da chi non era come loro. Il racconto ricostruisce il modo tenace, la strada in salita, in cui questi sportivi si formarono, il lungo viaggio in nave che affrontarono insieme agli altri componenti della squadra americana: una rotta di dieci giorni nella quale permase, racconta il film, una differenza di trattamento per i neri.

Olympic Pride racconta certamente come il regime nazista lavorò per nascondere la propria identità agli occhi del mondo, per fare propaganda e utilizzare al “meglio” quelle Olimpiadi per fini politici, cercando di evitare che venissero boicottate e che, al contrario, dessero il massimo di visibilità e immagine al Terzo Reich.

Foto: LaPresse

Si arriva, però, dopo il racconto delle singole storie, delle vicende personali dei diciotto atleti, non sempre trionfali, a volte riempite, durante quella stessa Olimpiade, di ingiustizia, al rientro dei protagonista in patria, nella stessa America che avevano lasciato, e nemmeno quello fu, nonostante i risultati di alcuni, un viaggio semplice. Anche se, sostiene il finale di Olympic Pride, quell’Olimpiade, quello «schiaffo ai pregiudizi razziali» dato da queste storie «a entrambe le sponde dell’Atlantico», fu, alla lunga, un seme importante gettato per le future battaglie sui diritti civili degli afroamericani.

Ci sono dettagli interessanti, toccanti, nei 76 minuti che compongono questo asciutto e denso  documentario, capaci di infondere tosta chiarezza su quel momento storico tedesco ma anche americano, recuperando doverosamente le storie di forza fisica e mentale di un gruppo di corridori, saltatori o pugili: ragazze o ragazzi come James luValle, Dave Albritton, John Brooks, James Clark, Cornelius Johnson, Willis Johnson, Howell King, Ralph Metcalfe, Arthur Oliver, Tidye Pickett, Fritz Pollard, Jr., Matthew Robinson, Luois Stokes, John Terry, Archie Williams, Jack Wilson, John Woodruff. Tutti nomi che è giusto ricordare, oltre a quello più celebre, straordinario, di Jesse Owens.

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