Nuovo cinema italiano. Il fascino del nichilismo?

L’amico di famiglia, di Paolo Sorrentino. Non ci sono padri e la madre è malata e possessiva. Geremia cresce senza affetto, diventa un usuraio lercio nell’animo e nel corpo, amico di famiglia invadente e cinico sulle sue vittime, una umanità infelice. Si illude di un amore, ma viene tradito da lei e da un amico. Nessuna speranza: dal guscio della miseria e della solitudine impossibile uscirne, anche l’amore è illusione. Tragica commedia amara, con un protagonista straordinario che Sorrentino giustamente mette in luce, Giacomo Rizzo, e la fotografia impietosa, notturna, caravaggesca di un grande Luca Bigazzi. Il regista dirige benissimo gli attori, con ritmi e atmosfere per niente horror, anzi vorrebbero essere tragicomiche (un lontano ricordo dell’Imbalsamatore di Garrone, in qualche luogo, forse); ma il film trasmette una insanabile angoscia, una solitudine disperante di anime smarrite senza una possibile luce. C’è da pensare. Però oggi è dappertutto così, da noi?. Quale amore, di Maurizio Sciarra. Ancora un figlio, questa volta ricco e potente, senza un padre e con una madre manager, dura di cuore. Lui si innamora a prima vista di una pianista pura e libera, la sposa, sogna la famiglia che non ha avuto, hanno tre figli. L’equilibrio si incrina quando lei vuol riprendere il contatto con la musica: la quale – ammette lui – invece che elevare, qui distrugge. Così la gelosia lo porta alla follia, uccide coscientemente la moglie, riprende presto la libertà. Impunito in fondo dalla giustizia umana, ma non da sé stesso, vive nella disillusione totale verso la razza umana. Tratto liberamente dalla Sonata a Kreutzer di Tolstoj, il noir di Sciarra purtroppo sembra appesantirsi in situazioni note, con una recitazione isolata dei protagonisti, Giorgio Pasotti e Vanessa Incontrada, pur con una colonna sonora appropriata ed una fotografia accurata. Il messaggio che lascia allo spettatore è ancora una volta amaro. Anzi, nichilista. Forse, un po’ troppo.

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