I nuovi schiavi di Ragusa

Sono soprattutto rumeni, pagati poco e male, spesso in nero. E le donne, non di rado, sono costrette ad accettare le attenzioni del datore di lavoro. Se ne fanno carico la Caritas col Progetto Presidio e la Cgil con la cooperativa Proxima

Sul The Observer (edizione domenicale del The Guardian) dell’11 marzo è stata pubblicata un’inchiesta del giornalista Lorenzo Tondo su “I nuovi schiavi in provincia di Ragusa”: sono le donne e gli uomini stranieri che lavorano nelle serre. Sono soprattutto rumeni, pagati poco e male, spesso in nero. E le donne, non di rado, sono costrette ad accettare le attenzioni del datore di lavoro.

Lo sguardo del cronista si è posato sulla difficile situazione che si vive nelle campagne di Marina di Acate e Scoglitti, in quel lembo nell’estremo Sud della Sicilia dove si trovano molte aziende agricole. Lì, negli anni ’70, si impiantarono le prime serre. L’economia agricola crebbe e, con essa, il tenore di vita della popolazione. Quarant’anni dopo la situazione è cambiata. I costi di produzione si sono alzati, le virosi danneggiano le produzioni, i prezzi di vendita al dettaglio sono spesso bassissimi (tranne pochi picchi al rialzo).

La crisi economica ha investito con violenza la Sicilia: gli accordi internazionali sottoscritti dal governo nazionale sotto l’egida dell’Europa (l’accordo italo-marocchino, il Green Corridor, l’accordo euro marocchino) hanno permesso l’ingresso in Italia di merce prodotta in altre zone, spesso non della stessa qualità. In questa situazione, si inserisce quella sorta di mercato parallelo del lavoro che ingloba molti lavoratori stranieri, spesso disposti (o costretti) ad accontentarsi di paghe più basse e magari ad accettare alloggi di fortuna, in casolari limitrofi alle aziende, affittati dallo stesso datore di lavoro. L’articolo del The Guardian e le foto di Francesca Commissari hanno permesso di squarciare il velo del silenzio. O meglio: hanno portato alla ribalta internazionale una vicenda che, in Italia, era nota, ma che non aveva mai avuto lo stesso clamore. Altri articoli di stampa erano stati archiviati in fretta, nel bagagliaio dei ricordi. L’Observer racconta la storia di una giovane donna rumena che lavora nelle serre. Dopo un giorno di lavoro, la sera è costretta ad accettare le brutali attenzioni del “padrone”. E che cede alle lusinghe del datore di lavoro perché non ha alternative: i soldi del salario servono per sfamare la famiglia che vive in Romania. Lì il salario medio raggiunge appena i 200 euro. È lo stesso marito a spingerla, altrimenti il datore di lavoro li manderebbe via. Spesso anche la casupola in cui vivono viene “affittata” dal datore di lavoro: è piccola, fredda, priva dei servizi essenziali. Un’altra donna avrebbe rifiutato le avances e il datore di lavoro avrebbe esploso dei colpi contro di lei. Lei lo ha denunciato ma ora non riesce a trovare un lavoro. Se ci si rivolge alle forze dell’ordine, si è esclusi dal circuito lavorativo. Secondo lo storico quotidiano inglese circa 5 mila donne sarebbero in questa condizione. Un numero che però non trova conferma in dati ufficiali.

Questo fenomeno è ben noto agli esponenti del cosiddetto “privato sociale”. La Caritas di Ragusa gestisce, da quasi tre anni, il “Progetto Presidio”: in tutta Italia sono state avviate 10 “postazioni”, nei territori più critici, per soccorrere coloro che vivono la condizione di marginalità nel lavoro, soprattutto gli stranieri. La sede Caritas è il punto di riferimento per tanti: c’è ascolto, disbrigo pratiche, assistenza legale, assistenza sanitaria, sostegno per il vitto e per il vestiario. In quasi tre anni sono stati effettuati circa 500 interventi sanitari, buona parte per i bambini. Che spesso in luoghi non adatti e non salubri. E non di rado non vanno a scuola. Ma nessuno, spesso, si occupa di questa particolare “evasione scolastica”. I loro nomi non sono negli elenchi ufficiali dell’anagrafe. La sede Caritas ha subito tre settimane fa un atto intimidatorio. Ignoti sono entrati, hanno messo tutto a soqquadro, soprattutto il magazzino dei vestiti e sono andati via. È accaduto in coincidenza con alcuni attentati incendiari. La Caritas, insieme ad altri, aveva alzato la voce. E la reazione non si è fatta attendere. Anche il sindaco, Giovanni Moscato, ha subito delle minacce. A Marina di Acate e nella vasta landa che giunge fino a Gela e a Scoglitti, operano anche la Cgil e la cooperativa Proxima. La Cgil gestisce uno sportello sindacale, ospitato nella stessa sede del “Presidio”. La collaborazione tra il sindacato e la Caritas è consolidata. Da anni di duro lavoro sul campo. Spesso sono solo loro gli avamposti, le presenze reali nel territorio. C’è anche la cooperativa Proxima, collegata anch’essa alla Cgil: gestisce un servizio di trasporto gratuito per chi vive isolato nelle campagne e non ha un mezzo di locomozione. All’inizio erano visti con sospetto: ora gli immigrati sanno che quel servizio, gratuito, è proprio per loro.

«Noi facciamo “sindacato di strada” – spiega Peppe Scifo, segretario provinciale della Cgil –, raggiungendo le persone nei luoghi dove vivono. Il comparto agricolo in crisi si regge anche su questo sistema. Ma oltre alla mancata applicazione del contratto, c’è la situazione di abiezione in cui tanti vivono. Nessuna crisi economica può giustificare tutto questo». Due anni fa, la Cgil, insieme all’associazione “Santa Briganti” ha prodotto un lavoro teatrale: Sera Biserica, di Giacomo Guarneri: uno spaccato della vita delle giovani donne rumene costrette a subire le violenze degli uomini italiani. Emblematica la storia della donna che aspetta un bambino dal suo compagno, il  “padrone” si “occupa” di lei di malavoglia, accompagnandola in ospedale per abortire ma… addebitandole il costo della benzina!

Il direttore della Caritas, Domenico Leggio, racconta: «Tempo fa, i nostri “volontari” intervennero per soccorrere una donna, che era stata violentata e picchiata dal suo padrone. La sua bimba, addirittura, era stata costretta ad assistere alle violenze. Lei venne con noi, ma il giorno dopo volle andar via. Andò a lavorare in un’altra azienda: aveva bisogno di lavorare». E le donne, sottomesse, spesso, non denunciano. E gli uomini approfittano della loro fragilità.

Leggio aggiunge: «Queste aziende e queste situazioni sono una piaga. Ma sono solo una piccola parte. La maggior parte delle aziende sono sane e assicurano condizioni contrattuali corrette. Purtroppo queste non fanno notizia! E sarebbe importante che la reazione a tutto questo venisse anche da loro, perché la loro reputazione viene danneggiata per colpa di alcuni!».

E a Ragusa è arrivata, il 15 marzo scorso, il ministro romeno per le Relazioni con i romeni all’estero, Andreea Pastirnac. Con lei c’era anche il console capo sezione consolare del Consolato di Romania  a Catania, Ioan Iacob. Pastirnac ha incontrato in Prefettura il prefetto, Maria Carmela Librizzi, i rappresentanti delle forze dell’ordine e gli operatori del “privato sociale”: Domenico Leggio, Salvatore Carpintieri, della Cgil, la presidente della cooperativa Proxima, Ivana Tumino. È emerso un dato: le denunce sono pochissime. Le forze dell’ordine non possono intervenire su ciò che non viene raccontato e provato. Ma la “sentinella” vigile della società civile racconta storie che le cronache giudiziarie forse non potranno mai narrare.  Il ministro ha proposto alle autorità italiane di far arrivare in Italia un gruppo di lavoro del governo romeno che possa affiancare le autorità locali nell’opera di contrasto del fenomeno. «Abbiamo valutato – ha spiegato – la possibilità di inviare degli addetti del ministero del Lavoro e del ministero dell’Interno rumeno per collaborare in Italia, per un periodo limitato, per affrontare il problema insieme alle autorità locali».

I riflettori ora si sono accesi. La notizia è finita nelle prime pagine dei quotidiani europei e soprattutto rumeni. Forse, oggi, non si può più alzare il velo del silenzio.

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