Nuovi interessi per Marcos

Scusi, è lei la signora…?. Sì, ragazzo, cosa c’è?. Mi spiace tanto, ma la suora dell’ospedale le manda a dire che il suo bambino non ce l’ha fatta… . E non sapendo cos’altro aggiungere, Marcos in tutta fretta inforcò la sua bicicletta e via. Cosa si poteva pretendere di più da un ragazzino di 12 anni? Era questo uno dei compiti più ingrati che gli toccavano, molto più delle pulizie. Per il resto, era piuttosto fiero del suo lavoro di office boy; specie quando gli venivano affidati incarichi di responsabilità come fare versamenti e prelievi in banca per conto del personale dell’ospedale. Certo, la disperazione di quelle povere mamme Marcos la poteva capire… Lui stesso aveva conosciuto precocemente il dolore per la perdita, a sette anni, del padre: stroncato ad appena quarant’anni da una subdola e misteriosa malattia manifestatasi appena tre mesi dopo che aveva sposato mamma. A quel tempo la famiglia Beltramin, che comprendeva anche un fratello e una sorella maggiori di Marcos, viveva a Fazenda Campinho, la fattoria dei nonni materni di origine portoghese: un luogo incantevole, con piantagioni di canna da zucchero e caffè, frutteti, animali d’allevamento e da cortile. Una vita libera e serena, tra passeggiate a cavallo, nuotate e ore trascorse a pescare nel vicino lago. Sua madre aveva sette fratelli, anche loro sposati, che contribuivano alla prosperità della fazenda. Il papà invece – di origine veneta, della provincia di Padova – finché la salute glielo aveva permesso aveva lavorato come camionista oltre che nella fattoria stessa. Dopo la morte del marito, per permettere ai figli di studiare, mamma Maria Luisa aveva preso la drastica decisione di trasferirsi con loro nella vicina città di Lençòis Paulista. E nella nuova casa, dopo l’infanzia idilliaca trascorsa in campagna, il piccolo Marcos imparò altre regole e abitudini, compreso qualche sacrificio per rientrare nelle spese. La mamma aveva trovato un impiego come bidella; anche José Angelo e Maria Isabel s’erano ingegnati a trovarsi un lavoretto, alternandolo allo studio; lui invece, ancora troppo piccolo, dopo la scuola aiutava nella faccende di casa: anche questa, una esperienza nuova che servì a responsabilizzarlo. Nei fine settimana però tornavano tutti e quattro a Campinho, dove Marcos ritrovava il calore di una grande famiglia patriarcale (memorabili quei pranzi domenicali che raccoglievano attorno ai nonni le famiglie degli zii). A partire dai 12 anni, come si è detto, il ragazzo si era inserito nel mondo del lavoro; inoltre seguiva i corsi di una scuola serale. Tale duplice impegno contribuì non poco alla sua formazione umana, evitandogli di disperdere energie. Forte dell’esperienza fatta, a 18 anni riuscì a farsi assumere da una ditta molto rinomata del centrocittà con un ottimo stipendio. Era un giovane dai vari interessi: oltre a frequentare un corso di giornalismo, era impegnatissimo in un gruppo teatrale di cui faceva parte anche Silmara, la sua ragazza; nel suo futuro vedeva una bella famiglia, una casa dotata di ogni comfort, un’auto da sfoggiare… i sogni di tanti della sua età. Quella del teatro fu un’esperienza non superficiale e che avrebbe avuto un seguito, come vedremo. Grazie alla guida esperta di un regista che veniva appositamente dalla lontana San Paolo, quella compagnia di attori dilettanti arrivò a farsi un certo nome nella regione con le sue tournée, raccogliendo anche vari premi. Marcos ricorda con orgoglio la messinscena di Morte e vida Severina, un famoso testo dello scrittore e poeta nordestino João Cabral de Mello Neto. I quattro anni di questa esperienza corrispondono ad un periodo tra i più gratificanti per quello che riusciva a dare di sé al pubblico. Erano anche anni di ricerca di qualcosa che però lui non riusciva ancora a definire. S’avvicinavano le vacanze del carnevale 1985 quando da un suo compagno di classe venne invitato ad una specie di campo estivo organizzato da un gruppo di cui faceva parte la sorella di lui. Che idea! Come poteva pensare che avrebbe rinunciato alle attrattive del carnevale? Accettò invece, al rientro di Francisco da quell’esperienza, la proposta di incontrare altri coetanei a casa dell’amico. Marcos non se ne sarebbe pentito: con stupore ascoltò episodi di vangelo vissuto nel quotidiano, di un Dio che su tutti aveva un progetto d’amore. Per lui, abituato ad un cattolicesimo tradizionale, a pensare Dio lontano e sempre pronto a coglierti in fallo, questo modo di considerare la religione suonava come una novità. La prospettiva poi di una fraternità estesa a tutti risultava al giovane estremamente affascinante: non era forse proprio quello a cui aspirava da qualche tempo? Quell’incontro segnò la svolta della sua vita, anche se il cambiamento non comportò alcuna caduta da cavallo per uno come lui, fondamentalmente mite, socievole e attratto dal bene. La conversione consistette pertanto in questo: se in precedenza, senza rendersene conto, aveva agito esclusivamente in funzione di sé, essendo lui il punto di riferimento di tutto, ora capiva che non era giusto; la vita prendeva senso e bellezza solo se impostata su un amore disinteressato per ogni prossimo, specie quello sofferente, nel quale Gesù si era più identificato. Bastava cominciare dalle cose ordinarie. Marcos cercò via via di mettere in pratica quello che capiva negli ambienti in cui viveva, a partire dalla famiglia; non sempre era facile, ma sempre più spesso – prendendoci gusto – riusciva a mettersi in gioco, rinunciando ad esempio ai propri comodi per fare un favore richiesto dai suoi e cose simili. Con Francisco e altri sei ragazzi aveva formato un gruppo animato da quegli ideali di fraternità di cui si consideravano un po’ come dei pionieri nella loro città dove la comunità dei Focolari era appena agli inizi, soprattutto come giovani. Una delle ricchezze del Brasile è certamente la varietà di razze e culture che convivono in armonia. Sarebbe un modello magnifico per il resto del mondo senza, purtroppo, le ingiustizie causate dall’egoismo umano; ingiustizie così evidenti nelle grandi metropoli come San Paolo, ma presenti anche a Lençòis Paulista. Come Marcos ora poteva rendersi ancor meglio conto con la nuova sensibilità che si ritrovava. Cercare di trasformare quella società col vangelo divenne così per lui un imperativo. Con i suoi amici cominciò a prodigarsi per i più poveri, andando a visitare le persone malate e sole. Per aiutare chi non aveva abiti sufficienti durante l’inverno bussava di casa in casa per raccogliere indumenti che poi venivano ripuliti, sistemati a dovere e venduti a quegli stessi poveri ad una cifra simbolica, per rispettarne la dignità. Per Natale analoga raccolta, ma di giocattoli, per i bambini dei quartieri poveri. Marcos non aveva mai messo piede in un focolare e non riusciva ad immaginarselo (il più vicino era a 300 chilometri di distanza). Ma nei focolarini che aveva conosciuto in qualche occasione vedeva dei modelli da imitare per la prontezza con cui si mettevano a disposizione degli altri e tutto sembravano sostenere dal di sotto. Sì, avrebbe voluto essere come loro. Già, e la sua ragazza? Erano fidanzati da un anno e mezzo. Ma da qualche tempo s’era fatta strada in lui un’altra idea: dedicarsi completamente alla causa per la quale Gesù aveva sacrificato sé stesso, sperimentando l’abbandono del Padre: l’unità in Dio del genere umano. Non fu facile per Marcos dirlo a Silmara (che pure qualcosa aveva già intuito); e neppure rinunciare al teatro, il cui impegno peraltro mal si conciliava col tempo assorbito dai nuovi interessi. Ma non volle soffermarsi su quanto perdeva, proprio per il guadagno di una vita piena, senza più tempi morti, in cui era ormai immerso. Quanto a mamma Maria Luisa, davanti alla prospettiva di rimanere priva dell’unico figlio rimastole (gli altri due erano ormai sposati) non si oppose perché il giovane seguisse la sua strada. Ed oggi? Dopo 25 anni di vedovanza, lei ha trovato un nuovo compagno in un vedovo con un figlio. Questo matrimonio, rivelatosi felice, per Marcos rientra nel centuplo promesso da Gesù a chi pospone ogni cosa per seguirlo. E riguardo al teatro: l’aver fatto parte, in questi ultimi nove anni, della band internazionale del Gen Rosso, la considera un’altra risposta di un Dio che non si lascia mai vincere in generosità. Ma ora anche questa preziosa esperienza è dietro le spalle. Marcos sta riprendendo un suo vecchio sogno: fare il giornalista. Nel suo Brasile dove, dopo una lunga permanenza in Europa, è appena tornato. In un focolare a Curitiba, nel sud del paese.

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