Venter, il biologo americano che, insieme a Smith, ha mappato il genoma umano, ha sintetizzato cellule capaci di autoreplicarsi, rimescolando pezzi di Dna naturale con altri creati in laboratorio. Già 20 anni fa sono stati inseriti frammenti di Dna nell’escherichia coli, un batterio che così è riuscito a produrre insulina migliore di quella ricavata dal pancreas di bue o di maiale. Venter è andato oltre: ha creato un batterio “artificiale” dotato di un genoma frutto del computer e del laboratorio. Una forma di vita, quindi, mai esistita prima in natura.
È nata così una cellula artificiale: il micoplasma mycoides JCVI-syn1.0. Già nel 2007 il biologo americano aveva ottenuto il primo Dna sintetico, riproducendo proprio quello del mycoplasma mycoides, un organismo dal patrimonio genetico composto di soli 517 geni (l’essere umano ne ha 50mila). Nel 2009, invece, Venter ha eseguito il primo trapianto di Dna, trasferendo il genoma naturale del mycoplasma mycodeis nel mycoplasma capricolum. Ora ha unito i due esperimenti, inserendo il genoma sintetico nel batterio “naturale”. «Adesso è possibile – ha detto – concepire un mondo sulla base di nuovi batteri (ma anche, in futuro, piante e animali) realizzati con il computer e fatti crescere in successione». La speranza è quella di riuscire a creare degli organismi pianificati per svolgere compiti precisi: curare le malattie, ma anche combattere l’inquinamento e aiutare l’agricoltura. «Cambia tutto nel rapporto tra uomo e natura», ha sintetizzato il biologo molecolare Ebright della Rutgers University.
Ma una cellula artificiale vuol dire vita artificiale? Sicuramente no, se pensiamo alla sproporzione tra il genoma di questa cellula e quello umano. Inoltre il genoma è inserito in un citoplasma con altre funzioni come i ribosomi; insomma è il motore della vita, non tutta la vita. Tuttavia parliamo di un progresso nella ricerca che avrà applicazioni pratiche nel campo dei vaccini e di futuri batteri “artificiali” capaci di combattere il degrado ambientale. Avremo perciò bisogno di una radicale revisione della disciplina brevettuale che darà impulso ad una nuova bioetica, attenta alle applicazioni industriali di queste scoperte, libera dai condizionamenti della politica prevalente.