Nuoto, bici, corsa

Alessandro Fabian, campione italiano di triathlon olimpico, si racconta tra ambizioni e prospettive verso Londra 2012.
Alessandro Fabian in bici

Uno e trino. Tolti i misticismi, questo per definizione è il triathlon, moderna disciplina sportiva nata tra storia e leggenda sulle spiagge hawaiane nel 1977, quando John Collins, ufficiale della marina americana, propose di fondere in un’unica competizione le tre gare più dure rivolte a nuotatori, ciclisti e podisti che si disputavano sull’arcipelago americano.
Non è da tutti essere triatleti. Una vocazione? Forse sì. Di sicuro c’è qualcosa, da qualche parte, che chiama e attira perché a veder tutto con l’occhio umano del neofita viene da chiedersi: «Come può essere possibile condire tre sport duri e spietati come il nuoto, il ciclismo e la corsa a piedi?». Poco da fare, che sia per puro caso o semplice destino, quando la vocazione chiama bisogna andare.
Lo sa bene Alessandro Fabian, 24 anni, carabiniere, campione italiano di triathlon olimpico, specialità presente nella rassegna a cinque cerchi da Sydney 2000. Qui, i piatti del “menù” sono: 1,5 km a nuoto, 40 km in bicicletta e per finire 10 km di corsa. «A quattro anni – spiega Alessandro al termine di una seduta d’allenamento in piscina – ho cominciato a nuotare. Così fino ai diciassette, ma in vasca i risultati non arrivavano. I miei allenatori mi proposero allora di provare con il triathlon…».
Un’intuizione che ha il sapore di una terrena profezia, quella dei tecnici Moreno Daga e Leonardo Beggio, che ad oggi continua ad essere il coordinatore tecnico di Alessandro. Un valido esempio per ribadire che a volte il talento per sbocciare ha solo bisogno di essere colto, rapito e valorizzato. «Sono partito da un ambiente chiuso, dove le piscine e le gare erano sempre le stesse – aggiunge Alessandro –. Ora invece mi ritrovo a girare il mondo scoprendo culture e Paesi diversi. Ho ottenuto a fine aprile un quinto posto agli Europei in Israele ed un ottavo posto nella prova di Coppa del mondo svoltasi a Huatulco, in Messico.
«La mia giornata inizia presto, con un allenamento in piscina, poi monto in sella alla bici da corsa. Nel pomeriggio curo la corsa a piedi alternando una seduta in palestra al termine della giornata. Quando al mattino suona la sveglia, ammetto che a volte anche io mi chiedo: “Ma chi me lo fa fare?”. Attimo dopo attimo però, sento che il peso della giornata diventa sempre più leggero. Quando mi fermo la sera ad esaminare quanto vissuto, capisco tutto e ripeto a me stesso: “Questa mattina non avevo voglia, invece adesso è tutto così diverso”. La verità è che con il tempo si impara a valorizzare ciò che si fa e la fatica passa in secondo piano, perché oltre al fisico si allena la consapevolezza di lavorare per raggiungere un obiettivo».
 
Passione, voglia di soffrire per diventare migliori giorno dopo giorno, cercando di essere atleti resistenti, armonici e completi. Questo è il triathlon. Ma questa è anche la vita, perché unire tre sport significa «unire la voglia di migliorarsi su più fronti contemporaneamente, imparando a conoscere i propri limiti e il metodo che permette di superarli».
Una cammino umano e sportivo, quello di Alessandro, che ha le fondamenta solide del sacrificio fattosi gioia e la luce di chi a ventiquattro anni vuole vivere e godere fino in fondo l’opportunità di partecipare per la prima volta ai Giochi olimpici. «Sarà un’esperienza unica, indimenticabile, che lascerà il segno, ne sono certo – dichiara Alessandro – perché lo sport è un motivo che spinge ad aprire una finestra sulla vita, offrendo la possibilità di crescere, rispettando delle regole nel confronto con sé stessi e con gli avversari. Non si improvvisa nulla: per raggiungere un risultato occorre sudare dando il meglio di sé stessi. Allenati a non mollare in gara, gli sportivi sono portati per definizione a non mollare anche nella vita di tutti i giorni».
Ciò che fa la differenza è l’atteggiamento, il modo di porsi di fronte alle nuove sfide. «Ognuno di noi sa di fronte alle diverse situazioni tutto quello che può dare di sé. È una spinta che viene da dentro e Londra sarà il mio momento, la mia grande occasione. Se dovesse arrivare una sconfitta ci sarà poco spazio per la delusione, perché ogni smacco può diventare un valore aggiunto, rivelando la strada da intraprendere per diventare prima di tutto persone vincenti».

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