A nove anni dalla tragedia di Lampedusa

Il 3 ottobre di nove anni fa, di fronte all'isola di Lampedusa, la più grande tragedia dell'immigrazione: morirono 368 persone. Oggi, ricorre l'anniversario: sono passati nove anni. Diverse le iniziative sul terriorio e le visite istituzionali.
Foto: Ap

Tre giorni di incontri, con studenti provenienti da tutto il mondo. A Lampedusa, numerosi giovani si sono dati appuntamento per ricordare, come avviene ogni anno, i morti nel grande naufragio del 3 ottobre 2013, quando 368 persone persero la vita in mare. Il barcone si inabissò, solo alcuni si salvarono, altri furono inghiottiti dai flutti del mare a poca distanza dalla costa di Lampedusa.

Una tragedia che ha scosso le coscienze. Il “Comitato 3 ottobre”, nato per sensibilizzare l’opinione pubblica sui temi dell’integrazione e dell’accoglienza attraverso il dialogo con cittadini, studenti e istituzioni, è stato protagonista delle numerose iniziative che si sono svolte nell’isola.

A Lampedusa è arrivato anche il presidente della Camera, Roberto Fico, per quello che è uno dei suoi ultimi appuntamenti pubblici da “numero 3” del Paese. Insieme al sindaco, Filippo Mannino, Fico è salito sull’imbarcazione che si è diretta verso il punto del naufragio. Lì sono stati gettati dei fiori in mare, accompagnati dalle sirene delle motovedette di Guardia costiera, Guardia di finanza, carabinieri e vigili del fuoco. A Piazza Castello, dove sorge la stele con i nomi dei 368 morti, è stato accolto anche dal presidente del “Comitato 3 ottobre”, Tareke Bhraime, eritreo che vive a Roma.

C’era anche il vicario generale della Diocesi di Agrigento, don Giuseppe Cumbo. Il “comitato 3 ottobre”, sorto all’indomani della tragedia del 2013, è oggi il motore di numerose iniziative per tenere vivo il ricordo di quei giorni. C’era anche Kheit Abdelhafid, Imam di Catania e presidente della Comunità islamica di Sicilia. A Lampedusa sono arrivati studenti da tutta Europa e vari sopravvissuti. C’era anche una ragazza che era stata data per morta ed era finita nel sacco nero: era viva e oggi vive in Svezia. È sposata e ha tre figli. C’era chi a Lampedusa ha perso un fratello, una sorella, dei figli. C’era anche una coppia che vive in Germania, lui è pneumologo: hanno perso quattro figli.

In Piazza Castello, a due passi dal municipio, la commemorazione ufficiale, con il concerto degli alunni della scuola “Luigi Pirandello” e altri momenti artistici. Dopo la commemorazione, il corteo si è diretto verso la Porta d’Europa. Quella porta divenuta simbolo del mediterraneo, ultimo avamposto dell’Europa in direzione del mare africano. «La Porta d’Europa va portata a Bruxelles, all’ingresso del Parlamento Europeo» ha detto il sindaco Filippo Mannino. Un monito, il suo, una richiesta forte per «sottolineare un’urgenza, richiamare tutti a una assunzione di responsabilità».

Il primo cittadino delle Isole Pelagie ha così ribadito la richiesta forte di Lampedusa: le migrazioni son o un problema dell’Europa, non può essere delegato solo all’Italia o alle sue isole nel Mediterraneo. E Tareke Bhraime ha chiesto che il 3 ottobre diventi «Giornata europea della memoria e dell’accoglienza». Roberto Fico tornava a Lampedusa per la seconda volta nel 2022: «Non bisogna mai – ha detto Fico – perdere l’idea e la speranza che dobbiamo, insieme, costruire una pace attiva, forte e costante».

Momento toccante la commemorazione nella notte tra il 2 e 3 ottobre, alle 3,30 del mattino, ora dell’ecatombe di 9 anni fa. Lì, con la presenza dei sopravvissuti, l’emozione del ricordo si tagliava a fette. «Un momento solenne, importante”, spiega Nadia Laterza, consigliera comunale di maggioranza a Lampedusa. È stata eletta tre mesi fa, nelle elezioni che hanno promosso il nuovo sindaco, Filippo Mannino, subentrato a Salvatore Martello, del Pd. Laterza è stata eletta nella lista “L’Alternativa c’è”, uno schieramento civico con la presenza di molti giovani. «Queste commemorazioni ci hanno dato un’emozione forte – aggiunge – e ci riconsegnano, ancora una volta, la speranza, che qualcosa possa cambiare. Speriamo che l’Europa si accorga finalmente di ciò che sta accadendo, che si comprenda che questo problema non può essere lasciato all’Italia e a Lampedusa. Noi lampedusani ne siamo profondamente toccati: mio marito ha lavorato per 13 anni nell’hotspot. Ha recuperato cadaveri, ha salvato vite umane, ha accompagnato sopravvissuti. Quando torna a casa si legge nei suoi occhi tutto ciò che ha vissuto».

Suor Ausilia Consiglio è una salesiana. Insieme a suor Paola e a suor Ines (statunitense) vive a Lampedusa. da tre anni, nell’isola, è stato avviato il progetto “Fare ponti”, promosso dall’Unione Internazionale delle Superiori Generali (UISG) e sostenuto dalla diocesi di Agrigento e dalla parrocchia di San Gerlando. «Siamo suore di diverse congregazioni – spiega suor Ausilia – siamo qui da tre anni, inviate dalle nostre congregazioni per un progetto che ci vede insieme. La nostra presenza vuole “fare ponte” tra gli immigrati e l’isola che li accoglie. Noi andiamo al porto, portiamo un the caldo, succhi di frutta, coperte termiche, un peluche per i bambini, una carezza per le mamme. Sono piccoli momenti di vita, poi, purtroppo, loro vanno nell’hotspot e non li vediamo più. Ma la nostra presenza vuole essere anche una testimonianza: vogliamo chiedere che si vada alla radice del problema. Noi facciamo la nostra parte, da volontari: il mondo politico deve trovare delle soluzioni. Non si può arrivare in Europa sui barconi. Si attivino dei corridoi umanitari, le migrazioni non possono portare con se morti e tragedie».

La “tre giorni” si chiude questa sera, con la veglia di preghiera ecumenica e interreligiosa nel Santuario della Madonna di Portosalvo. È un santuario antichissimo, immerso tra i fiori, un luogo simbolo per i lampedusani. «Siamo qui a ricordare e piangere le vittime del naufragio del 3 ottobre 2013, Iddio ne abbia misericordia – afferma l’Imam Kheit Abdelhafid – Una catastrofe che per la sua dimensione ha sconvolto le coscienze di tutti e che ha avuto risonanza anche in tutta Europa in tutto il mondo. In quel tragico momento si dava atto al Governo dello sforzo che stava facendo per salvare e accogliere una massa di profughi considerevole, ma si chiedeva anche che la contingenza in atto fosse considerata europea e non una colpa della posizione geografica. In questi anni trascorsi nessuna assunzione di responsabilità reale da parte della UE, siamo ancora lontani da avere un apparato d’accoglienza e ospitalità efficiente e dignitoso. La nostra Comunità, alla quale appartengono religiosamente la maggioranza dei migranti, si è impegnata come ha potuto e sono stati ospitati migliaia e migliaia di donne e bambini. Abbiamo toccato con mano la loro disperazione e la grande dignità dei vivi e ci siamo preoccupati dei defunti, per i quali abbiamo chiesto la realizzazione di un cimitero regionale a loro dedicato in modo che i loro congiunti possano un giorno ricordarli e recitare una preghiera».

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