Non un mestiere, ma una vita

Èdiventato popolare come Pietro, il protagonista della fiction televisiva di successo Orgoglio. Ma il suo vero amore è il teatro: ormai da quindici anni l’attore romano calca le scene. Ora, a 34 anni, ha danzato e cantato nel musical Lady D al Gran Teatro della capitale insieme ad Amy Stewart. Ti guarda con occhi profondi, Pecci, quando ti parla: è un uomo sincero, senza infingimenti. Il successo m’è venuto dalla tivù, dove ho iniziato nel 2001 con Il bello delle donne – racconta -, ma è un mondo diverso da quello teatrale. Recitare davanti alla macchina da presa è una cosa difficile da capire, e forse ancora io non ci sono veramente riuscito, tant’è che in assoluto continuo a preferire il teatro, anche se il successo televisivo può essere una piacevole sorpresa. La televisione infatti strizza spesso l’occhio all’intrattenimento, mentre il teatro si nutre di materiale più consistente, che ha in sé la bellezza della poesia. E io faccio questo mestiere proprio perché mi sono innamorato della lette- ratura: Shakespeare, che è il massimo per me, i russi, Pirandello…, per cui esser attore significa far da tramite per trasmettere qualcosa di bello. E allora è giusto che l’attore si mescoli e lasci spazio per esempio a Molière e diventi un po’ Molière o Shakespeare o Pirandello: è esaltante, ma anche richiede responsabilità nei confronti di chi ti ascolta. Io sempre me l’assumo quando mi trovo davanti al pubblico, mi dico: facciamo qualcosa di serio, che abbia un vero senso, per non barare sugli ascoltatori. Certo, oggi si è confusi da tante cose, spesso il lavoro dell’attore coincide col mondo dell’immagine, rischia di perdersi in tanti frangenti che hanno poco a che fare con l’espressione artistica della recitazione, così che pubblico e attori si disorientano, si perde il senso profondo di cos’è questo mestiere. Cerco di rimanere coi piedi per terra e di capire quale sia la mia direzione, il mio cammino. Che ne pensa Pecci delle riletture dei classici o dei monologhi, così di moda oggi? Rileggere i classici – l’Iliade o Dante – è un’operazione bellissima, ma esige una preparazione accurata. Ho avuto anch’io una proposta l’estate scorsa, ma io amo il teatro che è conflitto dialettico di sentimenti. Credo poi che si abusi del monologo perché spesso si annulla la dimensione teatrale di quel luogo che invece dovrebbe vivere insieme all’attore: restano quattro tavole che non sono niente, se non le fa rivivere la fantasia del dramma che vi sta sopra. Per questo, i grandi personaggi scespiriani o greci sono i modelli a cui mi ispiro, e credo che il teatro debba nutrirsi di loro anche se si possono scrivere nuovi testi, purché siano belli. Ma cos’è il bello per Daniele Pecci? Ciò che arriva dritto ai sentimenti, che scuote quel qualcosa che abbiamo dentro: ci fa capire, ci illumina, ci dà la forza di uscir fuori e dire: ho un motivo in più per amare quello che mi sta intorno, per vivere in modo migliore. Il bello è ciò che eccita la fantasia, è immortale, almeno finché vivrà l’uomo, afferma con sicurezza. Intorno a noi, tuttavia, ci sono le brutture della guerra, della violenza. Mi tocca ciò che di doloroso ci circonda – confessa – ma anche mi accorgo di quanto poco mi tocchi. Lo dico io, uno che dovrebbe lavorare sull’immaginodi- essere-un-altro, quindi dovrei essere più sensibile di altri a questo. Solo che ormai siamo abituati alla retorica del dolore, delle brutte notizie, per cui la nostra vita non si sposta di un millimetro. Tutto ciò mi preoccupa molto: possiamo finire in un certo modo tutti da un momento all’altro, perché di cosa può essere capace l’uomo! Certo, la cultura del bello può diventare uno stimolo ad un anelito verso qualcosa di migliore…. L’amore. Che ne pensa, Pecci? L’amore – dice subito – mi appassiona. Non saprei definirlo, ma è un particolare stato di grazia di cui tutti noi godiamo, anche se io faccio difficoltà a inserirlo nella nostra vita quotidiana fatta di regole… Innamorarsi credo sia una delle cose più belle, ci può capitare cento volte, e allora come si fa? Per questo dico che forse dell’amore ancora non ne so niente, ammette, disarmante. E sincero, anche quando parla di spiritualità: Sono molto dibattuto, perché, pur essendo di cultura, di tradizione cristiana, mi sento ancora ignorante e non so se riuscirò a trovare qualcosa a cui credere fermamente. È da alcuni anni che ho capito di dover fermarmi e leggere bene la Bibbia, di cui conosco alcuni passi, per cercare di capire di più… Certo vedo in me una spinta al bene, me lo ripropongo sempre di esser buono nel modo più semplice possibile… perché credo molto nella missione terrena degli uomini. Tanti dubbi, eppure Pecci si considera un uomo fortunato. È felice? Sì, vedendo quello che mi sta capitando, ma dovrei esserlo di più. Coltivo il sogno di interpretare tutti gli eroi scespiriani, brillanti o tragici (c’è anche il cinema, ma non ne ho grande smania). Cerco di essere sempre me stesso, senza nessun scarto fra arte e vita, perché lo strumento di un attore è unico, cioè sé stesso.

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