Non solo poesie

Queste poesie vogliono raccontare un’esperienza. Un tratto del cammino fatto quotidianamente assieme da un’insegnante di un liceo torinese e dai suoi allievi. “Anche tra i più giovani si sta diffondendo la voglia di fare qualcosa per migliorare il mondo – racconta Anna Maria Giardina, insegnante di lettere -. Sempre di più i ragazzi partecipano alle manifestazioni o alle giornate mondiali per la pace. Oppure a scuola, con la collaborazione degli insegnanti, riflettono sulla situazione attuale e prendono per primi propositi che poi s’impegnano a mantenere”. È in questo spirito che gli allievi delle classi II e III del “Liceo della comunicazione” dell’Istituto Maria Ausiliatrice di Torino hanno aderito alla proposta di Anna Maria e di altri insegnanti di partecipare alle iniziative di “Non solo Europa”. Un progetto ideato dal Movimento dei focolari, e che coinvolge diverse scuole del Piemonte. L’idea di base è quella di sensibilizzare ragazzi e insegnanti sui grandi temi della pace, del mondo unito, del dialogo fra le diverse culture e tradizioni religiose. Insomma, tutti gli argomenti caldi del mondo globalizzato. Proprio in questi momenti l’aria è come non mai satura di venti di guerra, che sembrano annientare o banalizzare le più genuine speranze in un mondo migliore. Ma anche di tante grida di pace. È a questo coro che si sono uniti Anna Maria e i suoi allievi. “Abbiamo cominciato qualche anno fa a riflettere su questi temi – continua Anna Maria -, dapprima partecipando con centinaia di ragazzi del progetto “Non solo Europa” a una giornata durante la quale abbiamo condiviso le nostre esperienze, ascoltate quelle di altri ed esposto in piazza i nostri lavori contro la pena di morte e in ricordo del massacro degli ebrei nella ultima guerra. Poi, l’anno scorso ci siamo soffermati con temi e riflessioni personali sul tragico 11 settembre e sulle conseguenze che ancora stiamo vivendo. Quest’anno abbiamo partecipato alla marcia della pace, dando il nostro contributo originale. Ciascuno di noi s’è improvvisato poeta e ha scritto una poesia che rispecchiasse il proprio pensiero sulla pace. Così abbiamo esposto su un grande cartellone i nostri tentativi poetici”. Ed eccole qui, le poesie di Alessio, Elisa, Cristina” ma anche di tanti altri. Piccole grida, sospiri, quasi suppliche al mondo degli adulti, per dire che al di là di tanti discorsi, ragionamenti e giustificazioni, loro non ci stanno: all’idea della pace non vogliono rinunciare, perché solo la pace potrà essere fondamento del mondo migliore, il mondo unito in cui credono e per cui vogliono impegnarsi. “Però, oltre alle poesie – racconta Alessio -, il momento centrale di questa nostra esperienza è stato quando ci siamo raccolti in chiesa, dove ognuno ha staccato la spina dal resto del mon- do, per riflettere meglio”. E quei minuti trascorsi insieme in silenzio si sono poi concretizzati in un impegno che ognuno s’è preso per portare la pace. Cominciando per primi. E partendo proprio dalle classi. “Perché solo dal piccolo si potrà arrivare al grande “, sottolinea. Insomma, non solo poesie. Anche, se come ci tengono a dire, “abbiamo scelto la poesia perché è un linguaggio universale per dire la nostra gioia, la speranza, l’impegno a non rinunciare mai ad essere uomini e mettere in gioco la nostra umanità anche di fronte alla barbarie e alla violenza più atroci”. QUELLA VOLTA CON ATHENAGORAS Dal Diario del “Gen Sole” (20 luglio 1969) Siamo andati al Fanar, dal patriarca. Nell’atrio c’era l’icona della Madonna davanti alla quale ogni notte va a pregare, accendendo una candela per sé e una per Paolo VI. Nel suo studio c’erano anche altre persone di varie nazionalità. Lui stava seduto dietro ad una scrivania, sulla quale era una foto che raffigurava l’abbraccio suo col papa. Ci siamo messi nella prima fila di sedie, lasciata libera per noi. Gli occhi nerissimi e profondi di Athenagoras seguivano ogni movimento dei presenti. Poi, rivolgendosi a noi: “Dove eravate? Vi cercavo. . . Vi amo molto”. Gli è stato spiegato che venivamo da Rocca di Papa, dove tanti altri giovani come noi avrebbero voluto venire a salutarlo. Allora il patriarca si è rivolto a tutti e si è messo a parlare di noi e del movimento, prima in greco e poi in inglese. Infine, indirizzandosi nuovamente a noi: “Allora, come va? L'”esercito” avanza?”. E poco dopo: “Voi siete la nostra speranza per l’unione delle chiese, non i teologi. . . C’è qualcuno di voi teologo?”.Al nostro diniego ha esclamato, alzando le braccia: “Grazie a Dio!” e tutti siamo scoppiati a ridere. “Ma – ha aggiunto – abbiamo un grande teologo: il papa di Roma, che io chiamo Paolo II. Il suo destino è di tradurre la dottrina dell’Apostolo in un linguaggio nuovo, dell’amore. È un grande sapiente, e io sono sempre con lui. . . “. Dopo di che, gli abbiamo chiesto se era contento di sentire una canzone. Al suo sì, Paolo è uscito per cercare la chitarra che ci era stata requisita all’ingresso. Mentre cantavamo, sul suo volto si leggevano: gioia, compiacimento, amore. Alla fine ha detto: “È l’epoca più bella: ci vediamo tutti fratelli, appartenenti alla stessa chiesa, e noi viviamo questo spirito, viviamo questa atmosfera dell’unità grazie a Sua Santità il papa Paolo II, che ha aperto la strada. . . “. Finita l’udienza, si è alzato per farsi fotografare con noi. Ogni tanto ripeteva: “Come vi amo, mes petits fils!”.

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