Non solo coca

Dimenticatevi il tossico sbattuto in un angolo con la siringa al braccio. Siamo di fronte a una generazione di consumatori integrati nella vita sociale . In questa affermazione del presidente della Federazione italiana comunità terapeutiche (Fict), don Egidio Smacchia, è racchiusa la sintesi di una nuova emergenza sociale: il consumo sotterraneo di coca. Tredici milioni le persone che nel mondo fanno parte di questo esercito invisibile: padri di famiglia, persone in carriera, attori, giovani e persino ragazzi. In Italia il 5,4 per cento della popolazione fra i 15 e i 44 anni ha fatto uso di cocaina almeno una volta nella vita; dal 2001 al 2003 è raddoppiato il numero dei consumatori fra i 35 e i 44 anni, come attestano le statistiche del Dipartimento nazionale antidroga. L’Europa, poi, sembra essere diventata la meta preferita del traffico internazionale di coca. Un mercato in espansione, dove arriva un terzo della produzione colombiana. E la coca è, tra le droghe, l’unica a registrare un’impennata dei consumi. Anche per il suo prezzo economico. Con 20 euro si riesce a comprare una dose, ma nei vicoli di certe città si trova pure a un prezzo più basso. I capoluoghi dove si sniffa di più sono Milano, Roma e Napoli ma anche Bergamo, Varese e Lodi non scherzano. Il Centro con il 28 per cento del mercato è l’area di maggior consumo, seguito dal Nord ovest col 24 per cento, il Sud (21 per cento), il Nord est (19 per cento), le isole (8 per cento). Sembra inoltre che si preferisca sniffare più a casa che in discoteca o nei pub. I coca-party infatti sono più comuni in un salotto d’appartamento che tra le mura di un locale pubblico. E ciò aumenta il carattere di normalità di questa pratica diminuendo altresì la percezione del rischio e allontanando l’idea che da questa droga si possa diventare dipendenti. Cosa succede veramente ce l’hanno dimostrato in tanti: da Maradona a Pantani, da Kate Moss a Calissano a Lapo Elkann… E quanto sia diffusa tra i palazzi alti lo abbiamo visto dai blitz effettuati dalle forze dell’ordine nella Milano o nella Roma bene, così come in altri centri più piccoli. Basta con l’equazione giovani uguale droga – sostiene Marcello Musio, capostruttura del Ceis a Roma -. Bisogna avere il coraggio di dire che nel motore economico, politico, sociale di questo Paese c’è una parte che affida alla cocaina l’illusione di poter essere efficiente, efficace, di poter risolvere le proprie fragilità. È un mondo che non consente più errori – gli fa eco Pierluigi Celli, direttore generale della Luiss -. Una volta si imparava per errori e c’era chi ti cor- reggeva. Oggi devi bruciare il tempo. L’uso di droga è un riempitivo, una conseguenza. Se non hai un progetto la quotidianità ti uccide. Vale per gli adulti come per i giovani e i ragazzi. Ormai vivono in un sistema senza punti di riferimento – evidenzia Giovanni Ingrascì, procuratore capo per i minorenni a Milano -, nel quale l’unica logica è quella dei consumi. E loro consumano compulsivamente di tutto, anche sé stessi, in un delirio di autodistruzione . Perché dalla sniffata non solo si può passare a droghe più pesanti, ma si rischia di entrare in un circolo vizioso dove spaccio e prostituzione diventano il prezzo esigito da spacciatori senza scrupoli che così condonano i debiti contratti dai giovanissimi. Occhi aperti, allora. I vent’anni di Exodus Quanto ciò sia vero ce lo racconta uno che di esperienza sul campo ne ha tanta: don Mazzi che quest’anno festeggia i vent’anni della sua fondazione, Exodus. Il nostro campo d’azione a Milano, nel Parco Lambro e alla stazione centrale, ci ha resi abbastanza aperti ad affrontare i problemi di frontiera: dalla prostituzione all’eroina. Gli ultimi cinque anni ci hanno visti particolarmente impegnati sul fronte della cocaina che ha invaso il mercato, sfruttando la fragilità dei nostri ragazzi. Mentre infatti l’eroina spaventava e dallo spinello all’eroina il passo era difficile, dallo spinello alla cocaina il passaggio è molto più facile perché non ci sono di mezzo siringhe e la si trova dovunque. Facile che in questo modo si abbassi l’età di chi la consuma e che stà roba cominci a girare già dalla seconda media. Dall’altra parte è esplosa, finalmente direi, la pentolaccia della cocaina dei quarantenni per cui adesso siamo per un verso preoccupati dei ragazzi dello sballo del sabato sera e degli adulti che ormai fanno della cocaina un uso non dico quotidiano ma come fosse terapeutica, per sentirsi più efficaci, più efficienti, più disponibili, meno stanchi. È un momento molto critico perché negli anni Ottanta il metodo era soprattutto la comunità, adesso il metodo è l’incontro con queste persone, che richiede progetti molto personalizzati, lavoro di grande intensità per rimotivarle, per convincerle che non c’è mica bisogno della droga per sentirsi efficienti. Il nome della sua fondazione, Exodus, sottintende un cammino verso la libertà… Io dico sempre che ognuno di noi deve cercare la sua liberazione, ha un suo esodo da compiere perché ha i suoi peccati e le sue schiavitù. In fondo l’incontro con Cristo, con la fede, è un cammino… E allora i ragazzi che hanno sbagliato per un verso, i genitori per un altro, gli educatori per un altro ancora, tutti dobbiamo camminare verso la liberazione e camminando insieme forse ci salviamo noi e salviamo gli altri. In venti anni avete aperto trenta centri in quasi tutte le regioni italiane. Com’è andata? Tutto è nato da richieste ben precise del territorio. Non abbiamo mai anticipato i tempi anche perché anziché costituire una comunità molto grande ho preferito crearne tante più piccole con un contesto di rapporti molto più intensi. Passano circa un migliaio di ragazzi all’anno e con 25-30 ragazzi è più facile fare comunità, discutere, fare percorsi personalizzati. Il nostro più che terapeutico è un metodo educativo. Io vengo dallo scoutismo, dalla pedagogia, dall’oratorio e ho cercato di mettere insieme il meglio di queste tre cose senza inventare niente. Io credo che don Bosco non aveva mica quattro specializzazioni alla Cattolica quando ha aperto l’oratorio. Eppure lei è un sacerdote sempre sul fronte con una grande cultura da un lato e una grande spiritualità dall’altro. Se ci sono professionalità e carisma per noi è molto meglio, perché solo la professionalità può andar bene per altri non per noi, e solo il carisma non basta in questo mondo così complicato… Certo ci sono anche i santi, ma siccome noi santi non siamo dobbiamo coniugare tutte due le cose. Quanto è importante nel suo impegno la comunicazione? Da sempre, da quando ero a Primavalle negli anni Sessanta, ho ritenuto che la comunicazione era una cosa importante. Una volta si andava in piazza a comunicare, adesso le piazze della comunicazione sono le riviste, i giornali, la televisione, la radio. Ci sono momenti facili e momenti difficili, d’altra parte chi lavora come me non deve avere paura di sporcarsi di tanto in tanto. E a proposito di comunicazione segnaliamo una recente pubblicazione: Avamposti. Exodus e le nuove frontiere sociali, di Franco Taverna, ed. San Paolo. Ma torniamo all’intervista. I giovani di ieri e quelli di oggi. Perché ricorrono alla droga? Negli anni Ottanta era più il disagio a spingerli, nel Duemila la droga è un capriccio e poiché i nostri ragazzi ne hanno tanti di capricci in qualche maniera sono convinti che abbiano il diritto di rischiare anche lo spinello, la pasticca. Qui purtroppo bisogna che facciamo una grossa riflessione noi adulti per cercare di convincer la famiglia, la scuola, gli oratori, gli enti locali, a fare un lavoro di rete e a non banalizzare su queste cose. La vita non è un capriccio e il tempo libero non deve diventare il tempo a rischio. Dopo tanti anni qual è la sua esperienza personale? Quando ho cominciato ero convinto di salvare gli altri, adesso sono convinto che in questo modo ho salvato me stesso. Credo che per un prete come me, col mio caratteraccio, sia stato importante fare questo lavoro. E comunque qualcuno lo salviamo ma non dobbiamo metterci in testa che noi siamo i salvatori del mondo, il mondo l’ha salvato il Padre eterno già, per noi si tratta piano piano di essere strumenti inutili nelle sue mani. Non mi sembra tanto il tipo da far bilanci… No, quelli li fa il Padre eterno.

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