Non di sola guerra vivrà l’uomo (o era pane?)

Le cose viste dall’Asia sembrano apparentemente più piccole e distanti. Ma è un grave errore pensare che la guerra in Ucraina sia solo una questione che riguarda l’Europa e che tutto procederà come prima sulle spiagge tropicali del sud est asiatico.
Guerra Russia Ucraina (AP Photo/Vadim Ghirda, File)

Sembra di vivere in un brutto incubo da cui vorremmo risvegliarci e vedere il mondo come era qualche settimana fa, sempre sotto tensione ma non certo in guerra, non con i carri armati alle porte delle città europee. Diciamo la verità: forse eravamo abituati alle guerre lontane, nei deserti o in qualche scenario esotico, in qualche isola sperduta, ma non nella vecchia Europa. Le scene che ci giungono attraverso i media sono molto forti e incutono terrore. Il terrore di un conflitto nucleare, a dire il vero.

Colpisce che alcuni soldati, giovani, non vogliano combattere ed abbandonino i carri armati nelle campagne, ma colpiscono soprattutto i bambini, le giovani mamme in fuga, il pianto dei papà che tornano indietro a combattere. È un brutto momento per tutti, proprio adesso che tutti sognavamo la ripresa dei viaggi intercontinentali dopo l’incubo del Covid!

Anche in Asia si crede e si spera che questa guerra non colpisca le previsioni di ripresa economica che stavano andando giusto giusto bene… A parte la Cina che, invece, più che in ripresa, sembrava proprio in accelerazione economica! La diplomazia cinese, pur non avendo condannato esplicitamente la Russia per l’invasione in Ucraina, ha auspicato e continua ad auspicare di creare una situazione e condizioni che possano favorire il dialogo e la ripresa del dialogo.

È abbastanza sorprendente questa presa di posizione soft, soffice e distaccata, se si pensa a quanta instabilità e insicurezza sta invece provocando la Nato in Oriente. Penso all’accordo Aukus, che vuole affiancare alle navi della sesta flotta statunitense anche otto sottomarini nucleari australiani da schierare sotto il naso della Cina (e della Corea del Nord). Di pace qui non se ne parla, anche perché la guerra, a dirla tutta, è un grande business per chi produce armi e le vende: e le armi si vendono se ci sono le guerre, non se c’è la pace o se si fa l’enorme fatica che serve a farla crescere.

In questi giorni mi trovo al confine fra Thailandia e Myanmar, dove ho incontrato ed incontreremo persone che in guerra ci vivono da 60 anni: soldati che ti sparano addosso per abitudine, che ti cacciano via a calci anche se sei un bambino, e tante altre mostruosità di questo genere. E non c’è nessuna speranza all’orizzonte di un possibile cambiamento: nella testa di troppa gente qui c’è stata e ci sarà sempre la guerra.

Non è possibile paragonare il dolore, la disperazione, il pianto della gente: perché ogni guerra è terribile quanto tutte le altre. Perciò non si può fare una comparazione tra la guerra in Ucraina e la guerra in Myanmar. Sono guerre: ingiuste, assurde, sanguinose e non fanno che aumentare le sofferenze della gente. Le guerre giuste, se mai sono esistite, sono ormai solo l’ossessione di chi vuole la guerra ad ogni costo.

Noi esseri umani siamo tutti uguali sotto il cielo, soffriamo e gioiamo per le stesse cose. Il mio amico monaco buddhista Phramahathongrattanathavorn, anche chiamato “Luce Ardente”, ama ripetere: «Il sangue nelle nostre vene è dello stesso colore ed abbiamo fame e sete nello stesso modo». Sì, siamo tutti uguali, anche quando abbiamo paura. Solo l’odio ci divide e ci arma uno contro l’altro. Solo l’odio è disumano ed è l’antitesi dell’amore (che poi è Dio).

E questo amore lo trovo spesso nei poveri, con i loro occhi neri e tristi, che nella guerra ci vivono da sempre. Anche ieri, al confine con il Myanmar. Insieme ad alcuni amici, anche questa volta, siamo venuti per donare borse e valigie piene di vestiti e cibo: si sono illuminati e ci hanno stretti in abbracci che andavano al di là delle culture e delle norme anti-covid, che sarebbero in vigore anche qui. Eravamo nelle loro capanne. E questo ci sembra importante: incontrare la gente dove la gente abita, soffre, alleva i propri figli. In luoghi che, sicuramente, sono molto lontani dalle mie zone di conforto.

Forse è proprio questo che crea un clima di pace e di dialogo: uscire ed andare verso l’altro, verso gli altri. Deporre le mie ragioni, i miei abiti comodi (ho regalato un bel po’ di cose che avevo nell’armadio) e donarle: anche una delle 3 biciclette vecchiotte che usavo da due anni è arrivata qui, a Mae Sot. Che gioia vederci sopra un ragazzino che felice se ne andava in giro. Ah… a proposito: la sua mamma aspetta il settimo bambino ed hanno, in tutto, 4 biciclette. E qui le biciclette servono a tutto. Dovrò lavorare sodo prossimamente per procurarmene qualcun’altra. Questa, forse, è una piccola tessera di pace in un angolo sperduto del mondo. Ma partiamo da qui: dal donare per amore di chi ha meno di noi.

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