Non si può morire di lavoro

Un “green pass” (e non solo per il Covid-19) per la sicurezza: lo dobbiamo a Luana, a Laila e alle persone infortunate o che sono decedute lavorando. Ogni persona ha il diritto a ricercare la felicità, anche sul posto di lavoro.

La tragedia sul lavoro di Luana d’Orazio e quella più recente di Laila El Harim oltre ad aver spezzato la vita di due donne, ha stravolto l’esistenza di due famiglie, dei rispettivi colleghi, degli amici e dei conoscenti di due diverse comunità.

Ancora una volta la politica, il sindacato, l’ispettorato del lavoro, le autorità tutte preposte a garantire la sicurezza e l’integrità psico-fisica dei lavoratori, non sono state in grado di salvare la vita di due donne lavoratrici.

In queste settimane, a destra e a manca, si parla continuamente di green pass per contrastare i contagi da Covid-19; mi chiedo se non sia possibile assegnare un green pass alle aziende, alle fabbriche, ai datori di lavoro, un green pass che possa garantire ai lavoratori che in quei luoghi di lavoro la loro vita viene messa (davvero e non solo sulla carta dei contratti) al di sopra di qualsiasi profitto o altro interesse economico-aziendale.

Ora siamo tutti alla ricerca della verità, per ricostruire i fatti: staff di tecnici, di periti, di consulenti. Sempre dopo, quando la vita di chi lavorava faticosamente è stata spezzata in maniera irreversibile. Perché, mi chiedo, non siamo in grado di investire in prevenzione, in controlli, in ispezioni? Come è possibile che nel 2021 una macchina possa divorare (letteralmente) un lavoratore? Perché l’evoluzione tecnologica (persino l’intelligenza artificiale) non sono in grado di prevenire la morte o l’infortunio di esseri umani che stanno lavorando per produrre benessere, all’azienda, al datore di lavoro ma, soprattutto, per sé stessi e per i propri famigliari?

L’uomo ha il diritto ad un lavoro ma, ancor prima, ha il diritto di vedersi garantita la tutela della propria integrità psico-fisica e una società civile deve darsi da fare attivamente per poter concretizzare questo cordone di protezione e di tutela nell’interesse di ogni singolo lavoratore.

L’art.1 della nostra Costituzione recita così: “L’Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro”. È davvero così? Quale effettiva importanza stiamo dando al lavoro di ogni singolo uomo e donna di questo Paese se, nonostante gli avanzamenti della tecnologia e dei sistemi informatici, non siamo in grado di tutelare la vita e l’integrità di questi lavoratori che vengono straziati da una macchina priva di fotocellule di sicurezza (o comunque disattivate) e/o di altri sistemi di protezione che dovrebbero intervenire automaticamente in caso di pericolo ?

Il lavoro, soprattutto quando vengono meno i sistemi di sicurezza e di prevenzione, non sempre aiuta l’uomo a perseguire la felicità, sua e di quella dei suoi familiari. Questo percorso di ricerca della felicità è un diritto (vorrei poterlo definire così!) che possiamo e dobbiamo garantire (come società civile) ad ogni singola persona, così come già Thomas Jefferson scriveva il 4 luglio 1776 nel testo della Dichiarazione d’Indipendenza degli Stati Uniti d’America: «Noi riteniamo che sono per se stesse evidenti queste verità: che tutti gli uomini sono creati eguali; che essi sono dal Creatore dotati di certi inalienabili diritti, che tra questi diritti sono la Vita, la Libertà, e il perseguimento della felicità; che per garantire questi diritti sono istituiti tra gli uomini governi che derivano i loro giusti poteri dal consenso dei governati; che ogni qualvolta una qualsiasi forma di governo tende a negare questi fini, il popolo ha diritto di mutarla o abolirla e di istituire un nuovo governo fondato su tali principi e di organizzarne i poteri nella forma che sembri al popolo meglio atta a procurare la sua sicurezza e la sua felicità».

I dati Inail del 2021 relativi ai primi sei mesi dell’anno, registrano 538 morti sul lavoro in Italia, con un particolare aumento del numero dei decessi concernenti i giovani tra i 20 ed i 29 anni.

Lavoro, garanzie di tutela e di prevenzione contro gli infortuni, rispetto per la vita e l’integrità psico-fisica della persona del lavoratore: tutto ciò può consentire ad ogni singolo uomo di ricercare l’armonia e la felicità, per una esistenza migliore e più dignitosa per l’intera umanità.

Perseguire l’armonia e la felicità, è un sacrosanto diritto di tutti gli uomini e, soprattutto nel rispetto del fondamentale principio di uguaglianza, uno Stato dovrebbe attivarsi per concretizzare materialmente questa sostanziale parità tra tutti i lavoratori, garantendo adeguate tutele e protezioni, soprattutto attraverso un effettivo e costante monitoraggio dei sistemi automatici di sicurezza che dovrebbero esser presenti nelle diverse realtà aziendali e produttive dell’Italia, dei Paesi esteri, del mondo.

L’armonia e la felicità sono dimensioni dell’uomo che toccano tutti quanti e nell’intero mondo: diversi Paesi (come gli Usa, il Giappone ed altri ancora) sono caratterizzati da costituzioni normative che prevedono il diritto alla felicità e (forse) l’Italia potrebbe ispirarsi a questi Paesi, accostando il principio fondamentale del lavoro a quello di una esistenza armoniosa e (almeno tendenzialmente) felice, iniziando dalla sicurezza nei luoghi di lavoro, di professione e (non dimentichiamoci) anche di studio e di formazione.

Un pensiero particolare va a Luana, a Laila, due giovani donne lavoratrici che hanno perso la vita mentre stavano lavorando per una esistenza più armoniosa e felice, per loro e per le rispettive famiglie; l’Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro ma per questo lavoro (diritto fondamentale per ogni persona), non si può arrivare a perdere la vita o l’integrità-psicofisica. L’Italia è un Paese democratico che dovrebbe fondarsi – prima di tutto – sulla persona, sulla dignità umana e sulla tutela della vita e della felicità (nel più profondo senso di fioritura umana) dell’uomo.

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