Non semplifichiamo troppo le cose

Non si possono leggere gli attentati di questi giorni come semplice lotta tra musulmani e cristiani. Attenzione a non cadere nella trappola mediatica della banalizzazione manichea
Nigeria

L’articolo pubblicato qualche giorno fa, dal titolo significativo "Una voce dalla Nigeria", mi è parso un’operazione di grande correttezza morale. Bisogna infatti interpellare, pur con tutta la discrezione necessaria, le fonti locali su quanto stia veramente accadendo laggiù. È necessario, infatti, difenderci da un certo tipo di informazione alla quale siamo ormai abituati senza la minima capacità di una lettura critica.

Da tempo ci si sta chiedendo cosa stia veramente succedendo nel grande continente, particolarmente nel suo Paese più popoloso, la Nigeria. Infatti, si susseguono notizie di stragi nelle chiese, ma non solo; e di morti di cristiani, anche in questo caso non solo. Quello che appare altrettanto costante è una certa uniformità di notizie da parte dei media occidentali, almeno italiani: sono i cristiani ad essere perseguitati, punto e basta.

In un interessante commento pubblicato in questi giorni dall’Ispi (Istituto per gli studi di politica internazionale), Irene Panozzo afferma che «i media italiani […] raramente deludono le previsioni, quando si tratta di Africa: passano sotto silenzio i principali eventi politici e sociali dei Paesi, anche quelli più grandi e strategicamente importanti che compongono il continente, ma danno la prima pagina o l’apertura dei siti web ad atti terroristici, in alcuni casi anche molto limitati, con una matrice religiosa».

Ma c’è qualcosa che, personalmente, ritengo ben più preoccupante. È una questione che ora riguarda l’Africa, ma anche l’Asia, continente che conosco assai meglio. È espresso, ancora una volta in modo efficace, proprio dalla Panozzo: «Quando l’obiettivo dell’attacco è un gruppo o una comunità cristiana, si può stare certi che i giornali di casa nostra riporteranno la notizia in grande evidenza, con titoli strillati che richiamano la guerra di religione, utilizzando generalizzazioni che poco aiutano a fare chiarezza e senza approfondire le possibili cause storiche, sociali, politiche ed economiche».
È proprio ciò che stiamo sperimentando con i fatti tragici e cruenti che avvengono con cadenza regolare e preoccupante in Nigeria, e non solo. La gravità, comunque, non sta tanto nel fatto che siano i cristiani gli obiettivi di questi atti terroristici (cosa in ogni caso da condannare, ovviamente). Come in altri Paesi del mondo, spesso a maggioranza musulmana, anche persone di altre fedi perdono la vita in queste situazioni, che rappresentano solo la punta dell’iceberg di questioni ben più complesse.

Recentemente il presidente della Nigeria, di fronte alla situazione davvero tragica del suo Paese, ha rievocato la guerra civile del Biafra, che alla fine degli anni Sessanta insanguinò la nazione africana con grande raccapriccio dell’Europa e dell’Occidente, che ne seguiva gli sviluppi attraverso le immagini tragiche dei telegiornali, allora, solo in bianco e nero. Eppure l’Occidente, che tanto parlò di quelle stragi e che fece di tutto per condannarne i responsabili, non era del tutto innocente. Lo scontro fratricida era, infatti, sostenuto dalla Francia, che desiderava indebolire una nazione già allora in crescita esponenziale di popolazione e ricca di risorse, particolarmente petrolifere, ma anglofona fra Paesi francofoni.

Il mondo è cambiato in questi cinquant’anni, ma sembra che in Europa non riusciamo a toglierci il vizio di leggere i problemi solo alla luce della griglia buoni e cattivi, musulmani e cristiani, hausa (etnia del Nord della Nigeria) e yoruba (etnia del Sud del Paese). Le dinamiche sono complesse e spesso, in tutto il mondo (quindi anche in Africa), la politica fa uso proprio di queste carte per confondere i giochi e acuire i contrasti. I media, spesso, direi quasi sempre, stanno a questi giochi.

Mi pare acuta l’osservazione di Godefroy Sankara, che sottolinea come sebbene i tempi siano molto difficili, con la concreta possibilità di un ulteriore aggravamento della situazione sia sul piano sociale e politico che su quello della sicurezza e della pace, la Nigeria resta un grande Paese con molte risorse alle quali può attingere. Ma, ancora più importante, come ho avuto modo di notare qualche giorno fa a proposito della situazione dell’area maghrebina, come europei e occidentali in genere sarebbe auspicabile che mostrassimo una maggiore profondità di approccio e di prospettiva. «Gli ingredienti della Primavera nigeriana non possono essere la semplice riproduzione delle logiche democratiche occidentali o il desiderio di un quadro favorevole agli investitori», afferma Sankara. Soprattutto, non mi pare corretto far entrare la religione in questi meccanismi che davvero poco hanno a che fare con essa.

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