Non potevo lasciar fallire l’azienda

“Un uomo che si è fatto da sé”, dice di Vittorio Larghi chi lo conosce. Una tempra di montanaro ed una volontà di acciaio, accompagnate da una gran voglia di lavorare: una vita dura di lavoro iniziata a dieci anni come garzone di fornaio. “Tutte le mattine – ricorda – portavo in bicicletta una grossa gerla di pane alle caserme dei soldati lungo il confine. Era pericoloso, oltre che faticoso, perché eravamo in guerra”. Dal suo parlare, così franco ed essenziale, traspare l’invito a leggere tra le righe della sua esistenza la trama delicata di una sincera ricerca di Dio che lo ha accompagnato sin da bambino. Qualcosa di molto importante per lui. Il suo sguardo limpido conserva intatte le immagini di un’infanzia non facile, trascorsa tra le valli delle Prealpi lombarde, dove suo padre aveva costruito una casa al limitare dei boschi. “Ogni mattina ci si recava a piedi a scuola, distante due chilometri da casa. D’inverno era faticoso con la neve. Ma io ricordo di quel tempo soprattutto le corse sfrenate nei prati, in cui ci sentivamo gli unici padroni”. A dieci anni, un avvenimento sconvolge la famiglia. “Una notte – prosegue – il fienile prende fuoco. Accorrono i vicini per spegnere l’incendio. Noi piccoli, avvolti in coperte, assistiamo sotto un albero alla scena. In poco tempo tutto è distrutto, e dobbiamo andar via”. In quella circostanza precipita l’unione tra i genitori, già in crisi. “In quel difficile periodo, mia madre cercava sostegno nella fede, e spesso mi portava con sé a visitare qualche santuario. Ho imparato così a pregare”. Si trasferiscono in città, dove il ragazzo, che intanto ha trovato un nuovo lavoro, si accosta allo scoutismo. Vi troverà una solida formazione umana e cristiana. A vent’anni, una solenne sbandata gli fa cambiare rotta. “Niente mi andava più bene – ricorda -. Lascio gli scout e mi butto nel contrabbando. Un’esperienza di vita disordinata ed inconcludente, che mi lascerà l’amaro in bocca. Per poco, fortunatamente. Cambio lavoro, e inizio a fa- re il rappresentante, sempre in giro per l’Italia”. Vittorio ricorda, di quel tempo, il pauroso incidente stradale in cui un suo passeggero perde la vita ed un altro viene ferito gravemente, mentre lui se la cava con poco. “Questo fatto, oltre alla morte di mio padre, mi fa riflettere sulla vita che sto conducendo. Sento forte il richiamo alle cose belle e buone che avevo praticato da ragazzo, e rientro nel mondo scout. Mi dedicherò ai più giovani, cercando di trasmettere loro i princìpi di vita che mi avevano affascinato”. Conosce Maria Luisa, che diverrà sua moglie. “Non nascono figli – ricorda – e ci orientiamo subito all’adozione. Così all’età di 18 mesi arriva Michele, e quattro anni dopo Alessandro”. Man mano poi che la famiglia cresce, si sviluppa anche l’impresa commerciale che ha nel frattempoavviato. “Tutto sembrava andare per il meglio: una bella famiglia, la tranquillità economica. Ma, in fondo al cuore, non ero soddisfatto. Mi dicevo: Tutto qui? Sentivo forte un richiamo a “volare alto”, ma non sapevo come. La partecipazione, dietro l’insistenza di un amico, ad un convegno dei Focolari mi apre uno spiraglio: mi pare di aver finalmente trovato quello che cercavo. Sì, perché sentivo l’esigenza di fare di Dio il centro della mia vita”. Saranno anni di impegno e di partecipazione alla vita della comunità di cui ormai fa parte. Anche l’azienda prospera, dando lavoro a trenta persone. Poi, inattesi, iniziano a manifestarsi i sintomi di una grave crisi, collegata ad uno stallo nel settore, oltre che ad alcune operazioni sbagliate. L’imprenditore Larghi comunica immediatamente ai grossi fornitori la situazione che si è venuta a creare. Se ne assume in prima persona la responsabilità e, prevedendo il licenziamento dei suoi dipendenti, fa in modo che essi vengano assorbiti in una attività parallela. “Non potevo permettere – dice – che perdessero anche un solo giorno di lavoro. E mentre i creditori mi assillavano, cercavo di sollecitare il pagamento di quanto mi era dovuto dai debitori. Spesso però, rendendomi conto che anche loro si trovavano in difficoltà analoghe alla mia, non me la sentivo di calcare la mano”. Le notti insonni non si contano più: i problemi, i dubbi, le situazioni da risolvere sono tante. Per quel senso del dovere che lo ha sempre accompagnato, capisce che non è giusto lasciar fallire l’azienda, e che una soluzione c’è per evitare il crac: vendere i suoi beni. “Ma alla mia casa ci tenevo. L’avevo acquistata con grande sacrificio in un angolo verde, tranquillo e panoramico della città. L’avevo curata in ogni particolare, pensando di trascorrervi gli anni della maturità e della pensione. Eppure non c’era un’altra soluzione: così, d’accordo con mia moglie, decidiamo di venderla. Convoco i creditori dal notaio il giorno stabilito per la riscossione della vendita. Li faccio attendere in anticamera e, quando ciascuno riceve l’assegno con l’importo dovuto, mi guardano stupiti. Il notaio da allora mi saluta sempre con simpatia e stima”. Riparte da zero, mentre la sua famiglia passa dall’agiatezza alla povertà. “Anche noi sperimentiamo cosa vuol dire stare senza soldi, senza telefono. Gli amici del Focolare mi sono vicini, col loro sostegno morale ed anche economico. Passa anche questa prova, lasciandomi una grande pace interiore “. Trascorrono alcuni anni, e giunto all’età della pensione, Vittorio pensa di mettersi a disposizione del movimento. Gli viene proposto di trasferirsi a Frontignano, in provincia di Brescia, presso uno dei centri dei Focolari nel Nord Italia. Si avvertiva la necessità che una famiglia vi andasse a vivere. Ne parla con sua moglie, che è d’accordo. “Pur rispettando la nostra decisione, i ragazzi pensano di restare in città: sono ormai adulti, in grado di badare a sé stessi. Ma devo dire che da allora i rapporti tra di noi si sono approfonditi ed arricchiti”. Ora, ritornando indietro, resta “la tranquillità della propria coscienza, ed una profonda gratitudine verso Dio, che ha condotto la mia famiglia in tutti questi anni”. Ed a noi, dopo averlo ascoltato, l’impressione di aver incontrato un galantuomo.

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