In questi giorni si sta concludendo il cosiddetto “Tempo del Creato”, proclamato da papa Francesco insieme al patriarca ecumenico ortodosso Bartolomeo e all’arcivescovo anglicano Justin Welby di Canterbury. I tre leader cristiani hanno rilasciato una storica dichiarazione congiunta nella quale invitano tutti i cristiani e le loro comunità ad affrontare la “minaccia senza precedenti del cambiamento climatico e del degrado ambientale“.
Si tratta di un appello urgente e unitario mai fatto prima ad abbracciare la missione umanistica di cura e custodia del Creato. Invece di analizzare solo i problemi e le loro cause, l’appello dei tre leader sottolinea quello che i cristiani possono fare adesso.
Vorrei proporre cinque suggerimenti estratti da quel documento.
Il primo è un cambio radicale nelle comunità cristiane del modo di pensare se stesse e il proprio ruolo nel mondo contemporaneo; si tratta di convincerci nel cuore e nella mente che sia davvero un nostro compito importante, cambiare la nostra vita per creare un vero cambiamento nel mondo.
Questo è il momento giusto. In questi giorni, vicini al 4 ottobre, Festa di San Francesco d’Assisi, patrono dell’ecologia, amato da molte confessioni anche non cristiane, sta per cominciare la 26a Conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici. I cristiani hanno l’opportunità di sostenere e creare un vero cambiamento per la nostra casa comune.
«Questo è un momento critico. Ne va del futuro dei nostri figli e della nostra casa comune», affermano i tre leader cristiani. «Mentre i leader mondiali si apprestano ad incontrarsi a Glasgow a novembre per deliberare sul futuro del nostro pianeta, preghiamo per loro e riflettiamo su quali sono le scelte che tutti dobbiamo compiere. Sappiamo tutti che per ottenere il perdono dobbiamo prima riconoscere il nostro peccato, cioè il fatto che abbiamo massimizzato il nostro proprio interesse a scapito delle generazioni future. Concentrandoci sulla nostra ricchezza, scopriamo che i beni a lungo termine, [come l’acqua, l’energia, la diversità biologica, i metalli rari], vengono consumati per il vantaggio di pochi a breve termine».
La seconda conversione è la trasformazione di questa visione in azioni sociali rigenerative, che siano come il lievito nella pasta. Oggi ascoltare il grido della terra e delle persone povere, impone un discernimento sincero – direi proprio impietoso, senza false giustificazioni e senza farci sconti – sul “nostro proprio comportamento e dunque un nuovo impegno coraggioso a compiere sacrifici significativi per il bene della terra che Dio ci ha donato”.
La nostra comune tradizione cristiana ci invita a mettere in pratica “la responsabilità individuale e collettiva per il dono del creato che ci ha dato Dio”.
I leader hanno scritto: «Ora, in questo momento, abbiamo un’opportunità per pentirci, per cambiare prospettiva, verso una direzione opposta [a quella del quieto vivere]. Perseguire cioè a tempo pieno generosità e correttezza nei modi in cui viviamo, lavoriamo e usiamo il danaro per il bene di tutti e di chi più ne ha bisogno».
Appena fatte queste due conversioni dobbiamo poi mettere bene a fuoco l’impatto del cambiamento climatico sulla vita di persone specifiche, in carne ed ossa, non di gruppi ipotetici o generici.
La terza conversione è dunque percepire nei fatti questo cambiamento d’epoca come una questione etica e una questione di vita o di morte.
Chi difende la vita, deve impegnarsi ogni giorno contro la crisi climatica che colpisce in modo sproporzionato e devastante i più vulnerabili tra noi. Questi sono membri della creazione di Dio che hanno avuto poco a che fare con le emissioni di gas serra che, secondo gli scienziati, stanno causando l’emergenza climatica, ma sono proprio i più poveri a subire gli effetti peggiori. Certi Paesi e certe categorie di persone sono davvero perseguitati dal clima tanto quanto dalla nostra indifferenza, dalla nostra accidia, dalla nostra ignavia.
«Serviamo un Dio di giustizia, che si compiace nella creazione e crea ogni persona a Sua immagine, ma che ascolta anche il grido delle persone povere. Perciò c’è in noi una chiamata innata a rispondere con angoscia e con senso di urgenza quando vediamo questa ingiustizia devastante», hanno scritto i leader.
Un quarto suggerimento, un bisogno di cambiamento che ho letto nell’appello è il loro consenso sul fatto che l’uscita da queste crisi richiede una cooperazione più profonda e quotidiana tra tutti i cristiani. Smettiamola di non conoscerci nemmeno, non frequentarci, non collaborare tra diverse associazioni, tra diverse parrocchie, tra diverse esperienze e carismi, tra diverse specializzazioni, tra diverse denominazioni di fede; smettiamola di sentirci a nostro agio in questo continuo dividerci – penoso e peccaminoso – tra quelli che sono di Paolo, di Apollo, di Pietro. I leader sottolineano come il mondo stia combattendo le crisi in corso, tra cui l’emergenza climatica, la pandemia di COVID-19, la fame nel mondo, la sofferenza economica, tra le altre.
La strada da percorrere consiste nel cogliere tutti insieme, in modo olistico, senza le false frontiere che ci dividono, questa opportunità “attraverso una rinnovata corresponsabilità globale e una nuova solidarietà”, che comporta profondi cambiamenti quotidiani nei nostri piani di vita, di lavoro, di associazioni cristiane.
«Ognuno di noi, individualmente, deve assumersi la responsabilità di come vengono usate le nostre risorse. Insieme, come comunità: ridiscutere come destiniamo le risorse comuni delle Chiese, delle città e delle nazioni».
In questo poliedrico cambiamento di rotta possiamo scoprire nuovi modi di collaborare per abbattere le tradizionali barriere tra gruppi, tra regioni, tra popoli, ridurre i conflitti ideologici e culturali e smettere di competere per le risorse e iniziare invece a collaborare. Questo cammino esige una collaborazione sempre più stretta tra tutte le Chiese nel loro impegno di prendersi cura del Creato, la terra che Dio ci ha donato.(Gn 2,15) .
Infine la conversione forse più difficile, quella che discende dallo scoprirci tutti interdipendenti e dall’accorgersi dunque che siamo tutti necessari, senza eccezioni.
I tre leader cristiani non hanno limitato il loro appello speciale per il Tempo del Creato ai cristiani; hanno invitato tutta l’umanità, tutte le persone e le istituzioni a fare la loro parte[1]. “Insieme, a nome delle nostre comunità, facciamo appello al cuore e alla mente di ogni cristiano, di ogni credente e di ogni persona di buona volontà”, hanno detto i leader nella dichiarazione.
«Tutti noi — chiunque e ovunque siamo — possiamo avere un ruolo nel modificare la nostra risposta collettiva alla minaccia senza precedenti del cambiamento climatico e del degrado ambientale. Prendersi cura del Creato di Dio è un mandato spirituale che esige una risposta d’impegno. Questo è un momento critico. Ne va del futuro dei nostri figli e della nostra casa comune».
1 Il movimento cattolico internazionale Laudato Si´ ha proposto a tutte le parrocchie del mondo una guida semplice di dieci azioni possibili per prendere in mano nel proprio territorio la cura e la custodia del Creato. La guida si trova sul sito https://catholicclimatemovement.global/it/10-ways-to-green-your-parish-it/