Non ci resta che ridere

Degli altri o con gli altri?
Giovani

Pioggia battente. Jacques ha finito i propri giorni terreni in una piovosa giornata invernale, dopo una vita bella e avventurosa, attraverso Paesi e lingue. Figli e nipoti si sono radunati insieme agli amici per l’ultimo saluto. «Non trattenete il riso se ve ne verrà voglia, ridere è un altro modo per ricordare», esordisce la figlia cominciando a leggere gli aforismi scritti dal vecchio Jacques, ebreo d’Egitto, russo di madre, italiano di padre. La vitalità comica del paradosso ha la meglio sulle lacrime. «Sono contro la pena di morte. Anzi sono contro la morte stessa!». «Se la vita ha un senso, lo sapranno quelli che corrono a destra e a manca». «Non mi dispiacerebbe tornare bambino a patto di mantenere il valore legale della mia laurea». Ridere insieme non ha cancellato il dolore ma ha indotto a sollevare la testa, a rinsaldare i legami affettivi, a fare memoria dello spirito per sempre vivo di Jacques.

Ha molto da insegnarci questa attitudine all’umorismo che la tradizione ebraica ha coltivato anche nei momenti più oscuri. Ridere trascende l’esperienza del divertirsi insieme; è un modo per indagare la condizione umana, esorcizzare la paura, fronteggiare l’odio. Moni Ovadia, attore ebreo, la descrive come una filosofia, una capacità di «auto delazione, il ridere di sé stessi, dei propri guai, delle proprie angosce e paure, anche sul limitare dell’abisso e della tomba, mai cedendo alla logica della volgarità e della violenza». Non è ironia, né comicità, anche se si nutre dell’una e dell’altra, non è irrisione né derisione, è un umorismo che nasconde sempre una natura profonda e triste.

Oggi si ride poco. Spesso il moto di ridere nasce mettendo alla berlina i difetti degli altri, soprattutto dei più deboli, i loro limiti, le loro contraddizioni. Si tratta di un riso di beffa che fa leva su stereotipi, pregiudizi, luoghi comuni e che poco ha in comune con la satira che si misura criticamente con il potere. È evidente che c’è una bella differenza tra ridere degli altri e ridere con gli altri. Ridere con gli amici, con le persone che amiamo è una grande risorsa relazionale. Quando si ride per il piacere di stare insieme, fino alle lacrime, fino a non poterne più, si mette al lavoro quell’intelligenza e quell’arguzia che relativizza il nostro punto di vista sul mondo, ci apre all’altro e ci rende consapevoli del nostro limite. Fa in modo che ci prendiamo un po’ meno sul serio. Io, ad esempio, amo sempre lasciarvi nel finale un messaggio positivo. Ma non ne ho. Allora, come direbbe Woody Allen, vanno bene lo stesso due messaggi negativi?

I più letti della settimana

Chiara D’Urbano nella APP di CN

La forte fede degli atei

Mediterraneo di fraternità

Edicola Digitale Città Nuova - Reader Scarica l'app
Simple Share Buttons