Non basta indignarsi

Nella globalizzazione dell’indifferenza si insinua la teoria di dare di più ai ricchi per far star meglio anche i poveri, mentre i paradisi fiscali restano ben protetti. Alcuni considerazioni sulle iniziative della ong Oxfam e il non appagamento di chi vuol far politica secondo coscienza
oxfam

Oxfam è una rete di organizzazioni non governative nata, come dice il nome, nell’ambito di un’università prestigiosa come Oxford e riconosciuta dalle istituzioni internazionali della globalizzazione, come ad esempio il Fondo monetario internazionale. Si muove fornendo dati affidabili e, in maniera pacifica, con innocui flash mob che utilizzano l’ironia come avviene per colpire i nababbi impertinenti, persone come grandi società, che nascondono i loro capitali dietro società occulte nei paradisi fiscali.

 

Nel nuovo millennio anche le grandi associazioni come i sindacati non sanno come spostare le masse e si accontentano di quel tanto di performance creativa necessaria per passare la notizia sui media. Lo stesso avviene per le raccolte di firme sulle piattaforme informatiche. Oxfam ne ha raggiunte 342 mila per dire “basta con i paradisi fiscali” e le ha consegnate a due sottosegretari del governo italiano, Gozi e Baretta, durante un incontro presso una sontuosa sala della Camera, che ha preso il nome da Aldo Moro, lo statista nato cento anni fa e ucciso in una vicenda che resta al centro di uno dei misteri irrisolti del nostro Paese.

 

Per Moro il suo impegno di cristiano era mosso dal principio del non potersi dire appagato da ogni pur lieve miglioramento raggiunto politicamente nel cammino verso la giustizia. I numeri esposti da Oxfam fanno indignare perché «oggi 62 paperoni possiedono la stessa ricchezza della metà più povera del mondo, vale a dire 3,6 miliardi di persone, mentre in Italia, l’1% più ricco è in possesso del 23,4% della ricchezza nazionale netta».

 

Nel franco dibattito seguito con alcuni parlamentari intervenuti all’incontro, promosso dalla sezione italiana della Ong, è emerso il muro di gomma che si oppone alla proposta di una tassazione unitaria in Unione Europea per le grandi corporation. Non la sostiene il presidente della commissione europea Junker e non sembra certo nell’agenda delle cose da fare secondo Malta, Stato che presiederà il Consiglio dell’Unione da gennaio 2017.

 

Nel frattempo incombe la presidenza di Donald Trump che, a quanto dicono, ha preso il consenso del ceto medio impoverito, ma promette meno tasse per i ricchi, in base alla vecchia teoria dello sgocciolamento della ricchezza dalle coppe di champagne dei benestanti verso i più poveri. Quel Trickle down che papa Bergoglio ha preso di mira nell’Evangelii gaudium perché «la teoria della “ricaduta favorevole”, che presuppone che ogni crescita economica, favorita dal libero mercato, riesce a produrre di per sé una maggiore equità e inclusione sociale nel mondo, non è mai stata confermata dai fatti ed esprime una fiducia grossolana e ingenua nella bontà di coloro che detengono il potere economico e nei meccanismi sacralizzati del sistema economico imperante».

 

Lo champagne non cade verso il basso secondo l’economista Joseph Stiglitz perché evapora nel clima dei paradisi fiscali. Ma rappresenta un dato significativo il sondaggio di Openpolis presentato da Oxfam, secondo cui non c’è una grande maggioranza (solo il 45 %) dell’opinione pubblica italiana d’accordo nel far pagare maggiori tasse alle multinazionali. Ben il 41% è d’accordo nel diminuirle per attrarre gli investimenti e il 14% non sa. Il principio di realtà sembra guidare l’idea che è difficile, se non impossibile, cambiare le regole che guidano il mondo e allora tanto vale trarne anche noi profitto.

Davanti alla “globalizzazione dell’indifferenza”, come la chiama l’Evangelii gaudium, non basta l’indignazione. Serve altro.   

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