In nome del popolo inquinato

Diminuiscono i roghi. Si iniziano a smaltire le ecoballe. La prossima frontiera sono le bonifiche. I primi segni di rinascita in un territorio paradigma della perdita di equilibrio tra ambiente e uomo

999 incendi nel 2017 solo nella provincia di Napoli. Quasi tre al giorno. Fuoco che brucia i rifiuti del ciclo urbano e i rifiuti speciali. Rappresentano solo il numero degli incendi in cui è stato necessario l’intervento dei Vigili del fuoco: i roghi sono molti di più. Alla Commissione parlamentare d’inchiesta sulle attività illecite connesse a rifiuti e illeciti ambientali, Nunzio Fragliasso, procuratore aggiunto del tribunale di Napoli, il 25 ottobre 2017, spiegava: «Il 93% di questi reati è a carico di ignoti e sono destinati a rimanere tali». Reati impuniti, ma roghi in calo. I dati ufficiali dicono che nella provincia di Caserta e Napoli i roghi per i rifiuti in cui sono intervenuti i Vigili del fuoco, nel 2012, erano 3030. Nel 2016 si sono ridotti a 1278: meno 52,5%. Sfogliando le 700 pagine della relazione territoriale sulla regione Campania del 1 marzo 2018 redatta dalla citata Commissione, si nota subito una pluralità di cause all’origine dei roghi. La presenza di campi nomadi che vivono sul recupero di materiali ferrosi e rame; l’insediamento di attività tessili, calzaturiere, conciarie che lavorano per il mercato parallelo della contraffazione; l’esistenza di sacche di smaltimento irregolare in agricoltura, teli, plastiche, fertilizzanti, fitofarmaci bruciati con residui di potatura; lo smaltimento illegale degli pneumatici determinato da una marcata evasione fiscale. Bruciano i rom, bruciano le aziende, bruciano, indirettamente, non isolati cittadini che per sottrarsi all’obbligo di differenziare i rifiuti li abbandonano in strada dando luogo al fenomeno del “sacchetto pendolare”. Si brucia perché c’è stretta correlazione tra contraffazione, evasione fiscale e smaltimento illegale dei rifiuti. Se produco e vendo in nero, sono costretto a smaltire illegalmente gli scarti di lavorazione. Così come l’abusivismo edilizio comporta lo smaltimento illegale dei residui di lavorazione, compreso l’amianto polverizzato nei rifiuti edili. Si brucia nelle stesse aree, se non negli stessi siti perché esiste una contiguità tra criminalità organizzata e pubbliche amministrazioni. Non è un caso che, negli ultimi anni, 80 comuni della Terra dei fuochi siano stati sciolti per infiltrazioni mafiose.

I roghi dei rifiuti è solo uno dei tre fenomeni della Terra dei fuochi. Il secondo è l’intombamento operato dalla camorra. Bisogna risalire agli anni ’70, quando rifiuti di ogni genere provenienti dalla Campania, da varie parti d’Italia e d’Europa venivano scaricati e sotterrati nelle cave dismesse, nei terreni agricoli, persino nei serbatori sotterranei di una pompa di benzina abbandonata, ovunque ci fosse uno spazio vuoto da riempire. «La monnezza è oro», disse il boss di camorra pentito Nunzio Perrella nel 1992, lo stesso che, qualificandosi come finto imprenditore per lo smaltimento dei rifiuti, per il sito di inchieste giornalistiche Fanpage, ha recentemente proposto accordi illeciti a politici e amministratori campani per dimostrare come si continua a fare affari nella Terra dei fuochi. Grazie alle sue rivelazioni, fu tutto chiaro. La camorra guadagnava dai rifiuti più che dalla droga.

Infine, terzo fenomeno, le ecoballe posizionate in terreni dove erano coltivate pesche e mele annurche. Un nuovo affare, legale, dove la camorra guadagna grazie all’affitto dei terreni. Le ecoballe che di ecologico hanno solo il nome, perché celano ogni tipo di rifiuto indifferenziato, rappresentano la gestione straordinaria dei rifiuti, ma anche l’ordinaria non funziona. Tantoché la Corte di Giustizia dell’Unione europea ha condannato l’Italia per la cattiva gestione dei rifiuti in Campania. Condanna che comporta, dal 16 gennaio 2018, oltre a multe già pagate per 130 milioni di euro, un ulteriore ammontare di 120 mila euro al giorno finché non saranno messi in esercizio gli impianti necessari a garantire l’autosufficienza nella gestione dei rifiuti urbani e lo smaltimento delle ecoballe. Dal 2002 si sono accumulati quasi 6 milioni di ecoballe e al 15 febbraio 2018 ne risultano smaltite l’1,9%. Ci vorranno anni ma qualcosa ha iniziato a muoversi. 650 mila tonnellate, pari al 15,7% del totale, sono state aggiudicate e sono in attesa di rimozione.

Uno scenario da apocalisse ma il generale di brigata Sergio Costa, comandante della Regione Campania dei Carabinieri forestali, è moderatamente ottimista: «La parabola criminale nella Terra dei fuochi è in una fase discendente. Prima eravamo a mezzanotte, ora siamo alle 4 del mattino, prima dell’aurora.

Dal 2013, in soli 5 anni, è stato elaborato un efficace metodo investigativo, è stata scoperta una filiera di discariche seppellite, c’è stata una presa di coscienza civile e politica che ha portato alla legge 6/2014. Siamo a metà dell’opera di monitoraggio di tutti i terreni della Terra dei fuochi, continuiamo a fare 2,3 arresti alla settimana e non ci sono più, nonostante l’inchiesta giornalistica di Fanpage, la numerosità, la pericolosità e la frequenza di prima. Sui prodotti agroalimentari, oltre il controllo della Asl secondo le norme italiane ed europee, c’è un controllo supplementare tanto che per la mia famiglia compro pesche, melenzane, pomodori della Terra dei fuochi perché i terreni inquinati sono interdetti alla coltivazione».

La prossima frontiera sono le bonifiche, la messa in sicurezza delle discariche. Il compito spetta all’autorità amministrativa che deve individuare le risorse e formulare leggi adatte.

Altro passo in avanti è stata l’approvazione della legge 68/2015 che introduce, dopo 24 lunghi anni di attesa, i delitti ambientali nel codice penale.

Primo firmatario Salvatore Micillo, per anni impegnato con Libera, nel suo territorio di Giugliano, nella Terra dei fuochi, e dal 2013 deputato in Parlamento. «Il problema dei disastri ambientali – spiega – non è di chi ci sta accanto o a qualche km di distanza, ma è mio, tuo, di tutti noi che facciamo dell’Italia la nostra terra e la nostra casa».

Anche perché «inquinare il creato – si infervora don Maurizio Patriciello, autore per Città Nuova di Meraviglioso – equivale ad ammazzare gli uomini».

Uomini, donne, bambini che nella Terra dei fuochi continuano ad ammalarsi e morire di tumori con un’incidenza maggiore che nel resto d’Italia. Dal 16 marzo 2018 si è iscritto all’“anagrafe civile del cancro” anche Antonio Marfella, oncologo della Fondazione Pascale e presidente dei medici per l’ambiente di Napoli. «La Terra dei fuochi non è un luogo, ma un fenomeno, la metafora della perdita di equilibrio tra ambiente e produzione, frutto del paradigma tecnocratico dominante. Per questo serve una conversione ecologica – come dice papa Francesco – perché salvare il pianeta è compito di ognuno di noi». E il silenzio è omissione.

 

Terra dei fuochi

Temine coniato nel 2003 e utilizzato per la prima volta nel Rapporto ecomafie a cura di Legambiente. Con esso si indica un territorio che ingloba 90 comuni, 3 milioni di abitanti, più di 1000 km quadrati, compreso tra i quartieri occidentali di Napoli, Palma Campania, Caserta e il litorale domizio, in cui si operano lo sversamento e la combustione illecita dei rifiuti in discariche abusive, non sempre ad opera della camorra, spesso sono piccole bande non legate alla malavita organizzata.

 

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