Carl Gustav Jung, fondatore della psicologia analitica, sosteneva che oltre all’inconscio individuale, quello di Adalgisa, di Simone, di Giuliana, c’è un inconscio collettivo. Che cosa è? È un sapere fatto di moduli ricorrenti di pensiero – i cosiddetti “archetipi” – condivisi in modo inconscio fra le varie generazioni, tra popoli anche distanti tra di loro. Questi moduli ancestrali sbucano fuori nelle fiabe classiche, nei miti, nelle leggende, nelle religioni, e s’infilano tutt’oggi nelle nostre paure e nelle dinamiche psico-sociali.
Non sappiamo se possiamo considerare la storia biblica del diluvio un archetipo. Certo ci andiamo vicino. In numerose culture antiche si trova il racconto della malvagità umana punita dagli dei con un fenomeno devastante, che quasi distrugge ogni forma di vita sulla terra. La Bibbia, che aveva già ricevuto scossoni ai tempi di Copernico e Galileo, nella seconda metà dell’800 ne subisce di assai virulenti. Nel 1859 Darwin pubblica l’Origine della specie e con la teoria dell’evoluzione mette in crisi il racconto biblico della creazione, allora ritenuto inoppugnabile anche se preso alla lettera. Qualche anno dopo, nel 1872, un giovane assirologo di nome George Smith, anch’egli inglese, pubblica un testo accadico che sconvolge il mondo: la narrazione del diluvio da quella che sarà poi identificata come l’undicesima tavoletta del poema l’Epopea di Gilgamesh. Il testo, risalente al III millennio a.C., è antecedente a quello biblico. Molti sono turbati e iniziano a chiedersi: «Quindi il racconto biblico è… copiato? Non è vero?». In effetti il racconto della Bibbia prende lo spunto dai miti caldei del diluvio e, se si va a contare, ci sono ben 17 punti di contatto con questi testi. Nell’Epopea di Gilgamesh si narra del vecchio Utnapishtim che, per volere del dio Ea, è sopravvissuto al diluvio voluto dagli dei per punire l’umanità corrotta. Lo stesso dio Ea aveva dettato a Utnapishtim le misure di un’imbarcazione che dovrà costruire per salvare sé stesso e tutte le creature viventi. Per chi è un minimo familiare con la storia di Noè e dell’arca, la similitudine pare proprio tanta. Anche se l’autore biblico rielaborerà poi questi miti dando una visione spirituale assolutamente originale.
Ma da dove viene questo arcaico “archetipo” del diluvio? Forse è nato dall’esperienza di catastrofi naturali dovute allo straripamento del Tigri e dell’Eufrate, le cui acque, in caso di forti piogge e scioglimento di nevi, potevano trasformarsi in un’enorme massa fangosa che dilagava distruggendo tutto. Questa esperienza traumatica doveva essere ben radicata nell’immaginario dei popoli della Mesopotamia. Ma se andassimo ancora più indietro nel tempo? Se andassimo alla storia del nostro pianeta, che solo recentemente i geologi sono riusciti a raccontarci? Ebbene guardando a questa storia (che né gli autori biblici né quelli caldei potevano conoscere!), dai 485 ai 66 milioni di anni fa, la vita sulla Terra ha subito ben 5 estinzioni di massa. L’ultima ha portato alla scomparsa dei dinosauri e di circa l’80% delle specie marine e terrestri. Questi fenomeni sono avvenuti in epoche pre-umane per cui difficilmente si può pensare che siano poi stati cablati nell’inconscio collettivo dei Sapiens. Ma una cosa è certa: ora sappiamo che il fatto che la vita sulla Terra abbia rischiato (e rischi tuttora?) di essere estinta, non è descritto solo nel racconto della Bibbia. È un dato reale.
Lascio a voi il piacere di leggere nella Bibbia la stupenda storia di Noè. Immergetevi nelle poche pagine con calma e attenzione, lasciandovi trasportare dall’immaginazione. Vivete accanto a Noè: da quando con un’opera di ingegneria navale costruisce la mastodontica arca; a quando vi fa salire le specie animali (alcune a singola coppia altre in 7 coppie); a quando si scatena il diluvio e, mentre la barca traballa paurosamente sulle onde, uomini e bestie muoiono sommersi dalle acque; a quando sul far della sera la colomba torna col ramoscello d’ulivo nel becco ad annunciare che la sciagura è finita; a quando Dio pone l’arcobaleno nel cielo come simbolo della sua alleanza cosmica, che abbraccia genti e animali; a quando Noè pianta una vite e fa all’umanità il regalo del vino (per questo ti saremo sempre grati, caro antenato!).
Questa storia ha a che fare anche con l’immaginario del nostro mare: i figli di Noè diventeranno simboli dei tre continenti che si affacciano sul Mediterraneo. Tante cose. Leggete questo racconto, anche se pensate di conoscerlo già. Rimarrete sorpresi. Io mi soffermo solo su un particolare. Nell’arca completamente sigillata, Dio aveva chiesto a Noè di costruire una finestrella. «Noè aprì la finestra che aveva fatto nell’arca» (Gen 8, 6). Questa finestra ha un grande valore simbolico. Ricorda che nei periodi oscuri della nostra vita – quando ci sentiamo come in una scatola buia in balia delle onde –, c’è sempre una piccola finestra. Quando Dio vorrà, proprio da lì arriverà la salvezza.
Nella canzone Anthem, lo scomparso cantautore canadese Leonard Cohen dice che in ognuno di noi c’è uno “squarcio”, una specie di finestrella. A prima vista sembra un difetto. Ma è da lì che viene la luce. «Forget your perfect offering / There is a crack, a crack in everything / That’s how the light gets in». C’è uno squarcio, uno squarcio in ogni cosa, è così che entra la luce.
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