No alla sconfitta della pace

È Natale, un’altra volta. Ritorna come un balsamo sulle nostre ferite la festa della vita e della pace, proprio in un momento in cui spirano impetuosi venti di guerra e le nubi del terrorismo incutono ovunque paura. Ma a partire da questo Natale bisogna che la pace torni a trionfare, perché essa è vita, mentre la guerra è morte. Dice il papa: “La lotta per la pace è sempre una lotta per la vita”. Perché l’umanità continui a vivere, e a vivere meglio, bisogna rimettere in moto la pace non come un’idea accanto alle altre, ma come l’idea fondamentale della convivenza tra gli uomini, come la legge prima della famiglia umana che, senza di essa, non è più una famiglia. Oggi ci si spara tra fratelli, ci sono troppe armi in giro. Si mette mano al fucile, al missile o al tritolo con troppa facilità. Eppure la nostra coscienza di uomini del Terzo millennio ci dice che le armi dovrebbero esistere solo per difendersi, e legittimamente: mai usarle per ammazzare i bambini, le donne, gli anziani, chi non può difendersi! Andrebbero usate solo per una estrema necessità, concreta e non solo possibile, come il bisturi in una operazione chirurgica, mai per imporre le proprie idee o la propria forza. Indubbiamente in questi ultimi anni il terrorismo – espressione anche di “forze del male” – ha innestato una marcia superiore, diventando un pericolo per la sicurezza del pianeta. “Bisogna difendersi”, si reclama un po’ ovunque in Occidente. Certamente si deve mettere in atto ogni misura capace di evitare nuove stragi, senza però commettere l’errore di perpetrare a propria volta guerre “preventive”, in una spirale che metterebbe in dubbio la sopravvivenza dell’umanità, già oggi duramente provata dai dialoghi interrotti, dalla trattativa mancata, dai muri invalicabili. Tuttavia il principale obiettivo non è militare ma politico: prosciugare l’acqua nella quale nuotano i terroristi. E ciò può essere fatto agendo con “idrovore di pace” a vari livelli: dando vigore agli organismi internazionali, operando per una giusta distribuzione delle ricchezze e promuovendo una nuova primavera spirituale. Un’istanza mondiale Bisogna innanzitutto ridare una giusta credibilità alle istanze internazionali, spesso ridotte all’impotenza. L’ultimo conflitto iracheno ha mostrato come nel nostro mondo globalizzato non si possa più fare a meno di un’autorità mondiale, capace di gestire i processi globali pur rispettosa delle prerogative di ogni singolo popolo. Come altrimenti si potrebbero risolvere i conflitti nei punti caldi del pianeta? Mi riferisco in primo luogo a quella terra in cui ci riporta il tempo natalizio, con il problema israelo-palestinese, ma anche a tutta la regione mediorientale. Senza dimenticare tutte le guerre combattute altrove, e troppo spesso dimenticate. Ricordo che, all’indomani della terribile strage delle Torri gemelle, nelle parole dei responsabili delle nazioni dominavano non tanto i toni di vendetta, quanto quelli dettati dalla volontà di unirsi: unire le forze per fronteggiare non solo i problemi aperti dal terrorismo, ma anche quelli provocati dalle ingiustizie globali, trovando soluzioni originali. Si udirono persino cenni di coraggiosa autocritica. Ma poi prevalsero le logiche della guerra, delle risposte unilaterali, dell’accantonamento del negoziato e del ruolo delle autorità internazionali. Bisogna, oggi, ritornare a quella unità d’intenti e metterla in pratica, riconoscendo a tutti gli stati un’autentica parità nelle decisioni comuni, per trovare le soluzioni adeguate, che non possono mai ridursi alla sola guerra. Non è escluso che l’uno o l’altro degli stati possa influire per sanare una situazione difficile: ma sempre e solo nel rispetto delle regole della comunità internazionale, e come rappresentante dell’unità di tutti. E non è nemmeno escluso che siano create delle nuove forme organizzative internazionali. Ricordo il Vaticano II: “Per reprimere lo scatenamento della violenza è assolutamente necessario che le istituzioni internazionali sviluppino e consolidino la loro cooperazione”. Una giustizia planetaria In secondo luogo mi sembra necessaria un’opera di giustizia planetaria. I responsabili degli stati dovrebbero operare per una reale equità economica, che tutti loro, nessuno escluso, affermano nei rispettivi programmi elettorali di voler perseguire. Ma bisogna passare dalle promesse ai fatti: non c’è più tempo da perdere per ideare e realizzare una nuova distribuzione delle ricchezze, materiali e culturali, tenuto conto che pochi hanno molto, mentre le necessità restano di tanti. Si cominci anche lentamente, per non mettere a repentaglio la sta- bilità economica internazionale. Ma si metta in atto ogni sforzo per eliminare lo scandalo insopportabile della povertà nel mondo, investendo contemporaneamente nello sviluppo delle economie locali. E in educazione e cultura, senza le quali nessun progresso regge a lungo. Una primavera spirituale C’è un terzo livello, forse più profondo ancora, sul quale bisogna agire.Tutti noi, un giorno o l’altro, ci siamo chiesti: da dove nasce la radicalità della terribile scelta dei kamikaze, che vivono per i loro ideali fino ad ammazzarsi? Ecco, anche noi dovremmo essere capaci di dare la nostra vita, certo non per ammazzare nostri simili, ma per l’ideale grande dell’amore per Dio e per i fratelli. Purtroppo l’occidente cristiano, che venera un Dio fattosi uomo e morto in croce per amore dell’uomo, spesso lo ha dimenticato. Ebbene, tale negazione di Dio è vissuta nel mondo musulmano come una minaccia. Se i paesi che hanno radici cristiane fossero uniti – perché Dio è uno e vuole l’unità – in vista del bene comune, se manifestassero una unità d’intenti per risolvere i problemi dell’umanità, ecco che qualcosa forse cambierebbe anche nelle relazioni con l’Islam. Senza l’unità dei cristiani, Gesù Cristo in certo modo non nasce tra noi e per noi, ma continua a rimanere una “promessa”, lontana per molti. Noi cristiani siamo quasi due miliardi: che testimonianza diamo al mondo? Dobbiamo ridare spazio alla vita spirituale autentica, fondamento della pace e del disarmo globale dei cuori e degli eserciti, operando una vera e propria rivoluzione: mettere Dio al centro della nostra esistenza, come già scrivevo all’indomani del crollo delle Torri gemelle. Se così si fa, come ho modo di sperimentare in tante parti del mondo, il dialogo tra fedeli di religioni diverse è enormemente facilitato, e non si utilizza più la religione “per fomentare la violenza (“), facendo addirittura appello al nome sacrosanto di Dio per offendere l’uomo”, come ha detto il papa ad Assisi, nel gennaio 2002. La pace santa L’aspetto più visibile dell’unità è la fraternità. Questa mi sembra certamente la strada più adatta per risalire la corrente, per risanare piaghe ormai purulente e per raggiungere più pienamente anche la libertà e l’uguaglianza. Quella fraternità che Gesù ha portato sulla terra facendosi fratello nostro e facendoci fratelli. È una via valida per chi ha in mano le sorti dell’umanità, ma anche per le madri di famiglia, per i volontari che portano brani di solidarietà per il mondo, per chi mette a disposizione parte degli utili della propria azienda per eliminare spazi di povertà, per chi non si arrende alla guerra” La fraternità “dall’alto” e quella “dal basso” si incontreranno così nella pace. Il piano di Dio sull’umanità è proprio la fraternità, che è possibile anche con gli uomini di altre fedi e di altre convinzioni, perché l’amore fraterno è nel dna di ogni uomo creato a immagine e somiglianza di Dio. Anche lo sviluppo tecnologico ci favorisce: la globalizzazione ci offre strumenti straordinari per la diffusione della fraternità. I media oggi globalizzano la paura, ma potrebbero anche globalizzare la speranza. Perché non li usiamo per unire i cuori e dividere i beni? Ecco, questo Natale ci dice: non arrendiamoci! Dalle guerre, anche le più terribili, sono spesso nati soprassalti morali inattesi ed energie insospettabili. E forse la provvidenza divina talvolta si serve di situazioni di distruzione provocate dalla libertà dell’uomo per costruire ex novo ciò che è necessario per “ridare fiato” all’umanità. E tanti sono i segnali, perché dalla grave congiuntura internazionale possa finalmente emergere una nuova coscienza della necessità di operare insieme per il bene comune, popoli ricchi e meno ricchi, sofisticati o meno nei loro armamenti, confessionali o meno, col coraggio di “inventare la pace”. È finito il tempo delle “guerre sante”. La guerra non è mai santa, e non lo è mai stata. Dio non la vuole. Solo la pace è veramente santa, perché Dio stesso è la pace. Preghiamolo senza sosta anche in questa festa della vita, perché ci faccia dono della sua pace. Buon Natale! Buona pace!

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