Nilo il fuggiasco

Il 26 settembre del 1004, nel monastero di Sant’Agata alle pendici del Tuscolo, era moribondo un vecchio monaco calabrese oramai quasi centenario: Nilo di Rossano. Vista l’approssimarsi della fine, i discepoli lo avevano portato in chiesa: perché un monaco, salvo forza maggiore – diceva sempre l’anziano – deve morire in chiesa. Durante la celebrazione del vespro, secondo la solenne tradizione bizantina, Nilo rese la sua anima al Signore. La sua vita ricca e spensierata era cominciata a Rossano, in Calabria. Giovane brillante per le sue doti, a tutto pensava tranne che a diventar monaco, ma sui trent’anni era stato assalito da una profonda crisi interiore. Un monaco lo aveva convinto a recarsi ai monasteri del Mercurion, che si trovavano sul versante lucano della catena del Pollino, per consultare qualche anziano. Lì, Nicola, questo era il suo nome da laico, aveva deciso di lasciare tutto e di farsi monaco. Quando la notizia, però, era giunta a Rossano lo stratega (governatore) aveva emanato subito un editto con cui si proibiva agli abati di monacare l’uomo, perché, appartenendo ad una famiglia che faceva da garante presso il fisco imperiale, non poteva diventare un ecclesiastico. Con un viaggio rocambolesco in cui rischiò di finire schiavo dei saraceni, Nicola si era rifugiato in Longobardia (nell’attuale Cilento, allora sotto il dominio longobardo) dove era potuto diventare monaco col nome di Nilo senza porre a rischio gli abati. Calmatesi le acque, era tornato nel Mercurion e aveva scelto di vivere come eremita in una grotta presso l’attuale cittadina di Castelluccio. La sua giornata era rigidamente ripartita in preghiera, studio e lavoro di copiatura di manoscritti per i monasteri vicini. La fama si sparse e presto si radunarono attorno a lui discepoli. Profondamente travagliato se lasciare l’amata vita eremitica per quella cenobitica, pur di non assecondare la sua tendenza, Nilo decise di costituire una comunità. Iniziò così una nuova fase della sua vita segnata dalla precarietà della sopravvivenza e spesso dell’esistenza a causa delle continue incursioni saracene nella zona del Mercurion. Alla fine, per garantire l’incolumità dei discepoli si trasferì nelle sue terre di Rossano, dove fondò il cenobio di Sant’Adriano, che si può ammirare ancora oggi nella ricostruzione di epoca normanna nell’attuale centro di San Demetrio Corone. Questa pace ritrovata fu ben presto scossa da una notizia: Nilo era stato designato dai suoi compaesani ad essere nominato vescovo. Naturalmente, con alcuni discepoli fuggì subito verso nord, ancora verso la Longobardia, giungendo a Montecassino. Il suo pellegrinare lo portò poi a Gaeta. Essendo oramai vecchio vi era interesse ad accaparrarsi il suo corpo. Il duca di Gaeta aveva cominciato a costruire una tomba sfarzosa dove custodire il suo corpo. E l’anziano, saputolo, ancora una volta fuggì. L’ultima tappa del suo peregrinare fu appunto il monastero di Sant’Agata. Gregorio dei conti di Tuscolo, pur di trattenerlo nelle sue terre, gli concesse la Crypta Ferrata – le rovine di una grande villa romana – su cui edificare un monastero. Qui sorse l’ultima fondazione di Nilo: l’abbazia di Grottaferrata. Nilo, insomma, visse buona parte della sua esistenza terrena come un pellegrino, uno straniero in terra latina, per sfuggire alla grande fama di maestro di vita ascetica che, comunque, lo precedeva sempre. Quando con i discepoli si trovava a Montecassino e aveva ottenuto dall’abate Aligerno di abitare nel monastero di Valleluce – una dipendenza del grande monastero benedettino -, poiché Nilo parlava correntemente sia in greco sia in latino, i monaci benedettini conversavano con lui, vedendovi la figura del loro santo padre Benedetto. In una particolare circostanza gli chiesero: Qual è, secondo te, l’opera propria del monaco e come noi potremo trovare misericordia presso Dio?. Il monaco è un angelo e l’opera sua propria è misericordia, pace e sacrificio di lode, rispose e chiarì il concetto aggiungendo: Come i santi angeli, infatti, offrono incessantemente a Dio un sacrificio di lode e fra loro, per vicendevole amore, si mantengono in pace, hanno misericordia e aiutano gli uomini quali fratelli minori; così, ugualmente, il vero monaco deve usare misericordia verso i fratelli a lui inferiori od ospiti, amare con spirito di pace i confratelli del suo stesso grado, e non nutrire invidia verso coloro che gli sono stati preposti. Deve avere una sincera fede e speranza verso Dio e verso suo padre nello spirito. Colui che possiede queste qualità conduce sulla terra una vita angelica; al contrario, chi è senza fede, nutre odio e non ha cuore compassionevole, diviene ricettacolo di ogni vizio come un demonio in carne. Poiché, ricordatevi – e tenne a sottolineare quanto stava per dire con il gesto della mano – dal momento che un uomo si è fatto monaco, non è più uomo, ma è uno dei due: o angelo o demonio. La sua vita, scritta da un discepolo, costituisce dal punto di vista letterario il capolavoro dell’agiografia italobizantina. Ma dopo mille anni può ancora dire qualcosa all’uomo moderno? Personalmente sono convinto che quella di Nilo è stata un’esistenza irta di contraddizioni psicologiche e segnata da un profondo travaglio interiore, tale da renderla di una sorprendente modernità. E il millenario può essere una buona occasione per scoprirlo. UN MILLENARIO D’ECCEZIONE Grottaferrata, porta d’Oriente. È questo lo slogan che sta accompagnando nella cittadina laziale le celebrazioni del millenario dell’abbazia di San Nilo: un unicum nella storia della Chiesa cattolica, perché bizantina e al tempo stesso legata a Roma dal 1004, quando venne fondata nel tuscolano dal monaco italo-greco Nilo, di cui pure ricorre il millenario della morte. Singolare e vivo cimelio superstite di centinaia di monasteri bizantini che per buona parte del Medioevo e in alcuni casi fino al XVIII costellarono l’Italia meridionale, l’abbazia di San Nilo è un imprescindibile punto di riferimento per il suo patrimonio di codici e testimonianze artistiche, e primo ospedale italiano di libri (valga per tutti il restauro del Codex Atlanticus di Leonardo da Vinci). Un anno ricco di mostre e incontri culturali a livello internazionale, nonché manifestazioni musicali e artistiche. Con tematiche riguardanti la storia, la spiritualità, l’ecumenismo; ed altre di assoluta attualità, collegate al grande problema dei consumi energetici: come il convegno promosso il 27 settembre dal Consorzio Gaia sull’utilizzo dell’acqua. Celebrazione di un passato millenario, dunque, ma non solo: da questo evento, infatti, l’abbazia di San Nilo trae incentivo per proiettarsi con nuovo slancio a realizzare la sua vocazione di ponte tra Occidente e Oriente: è quanto risulta dalla decisione di organizzare annualmente, insieme alla città di Grottaferrata, convegni internazionali aventi a protagoniste le nazioni europee appartenenti al polmone bizantino. Come prima nazione, quest’anno, la scelta è caduta sulla Romania (24-26 settembre). Alla cultura degli antichi daci – gli antenati degli odierni romeni – è stata dedicata anche la mostra La Colonna Traiana racconta, presso la restaurata antica tipografia dell’abbazia.

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