Nike. Il gioco e la vittoria

Sembrano lì lì per scattare nella corsa, gli occhi dilatati nello sforzo di concentrazione, i due stupendi atleti bronzei da Ercolano, copie romane di originali greci del IV-III secolo a.C. Verso quale premio sono protesi con tutto il loro essere? La loro stessa collocazione originaria lo lascia intuire: dal peristilio della Villa dei Papiri, entrambi i corridori puntavano verso una Athena Promachos (armata) che adornava l’atrio di quella sontuosa dimora. La vera meta, dunque, non sarebbe stata tanto una corona vegetale quanto la somma di virtù morali di cui la dea era emblema. Ecco il senso dell’agonismo secondo la cultura greca: gareggiare per vincere, sì, ma un premio considerato simbolo di superiorità non solo fisica. Non a caso, nell’antica Grecia le competizioni sportive non erano gare fine a sé stesse ma si svolgevano nell’ambito di solenni feste religiose, la cui cornice erano i più importanti santuari della penisola. E del resto la statuaria greca non riproduce le fattezze reali dell’individuo; la sua è bellezza idealizzata in cui si assommano tanto le perfezioni fisiche quanto quelle morali. Lo dicono in tutti i toni opere come il Discobolo Lancellotti, il Doriforo di Pompei o altre tra le più famose rappresentazioni di atleti che l’arte classica greca ci abbia consegnato, per la prima volta riunite nell’ambulacro superiore del Colosseo nella mostra Nike. Il gioco e la vittoria. Davanti a capolavori così pervasi di spiritualità mi viene da immaginare che se all’Areopago gli ateniesi, invece di deriderlo, avessero lasciato parlare Paolo apostolo, insieme all’annuncio di Cristo risorto avrebbero forse ascoltato una storia meravigliosa di corpi glorificati emananti uno splendore incorruttibile: e magari prendendo spunto proprio dalla selva di statue di dei, eroi ed atleti che adornavano i loro templi e i loro spazi pubblici! Ben diverso, invece – proseguendo il percorso espositivo – è il clima che circonda i pugili a mosaico provenienti dalle terme della capitale, così rudi e brutali; oppure la serie di ritratti di celebri aurighi, seri e compresi di sé quanto tesi e concitati dovevano essere nelle corse al Circo Massimo. Contemplando le fisionomie di questi “divi dello sport” di ieri, che le folle idolatravano non diversamente da quanto capita a quelli d’oggi, sarebbe possibile studiarne la psicologia, immaginare una storia: è l’arte etrusco-romana, estremamente realistica, a renderceli così veri, umani, attuali. Sono opere che riflettono una concezione diversa diversa rispetto a quella greca: lo sport inteso principalmente come spettacolo, esibizione di forza e destrezza. Non per niente, le gare sportive che in Grecia venivano denominate agoni, nel mondo romano diventano ludi, ossia giochi. Secondo una visione certo meno spirituale, che arrivava – nelle specialità più violente – alle atrocità dei combattimenti gladiatori: qualcosa di lontano anni luce dalla sensibilità ellenica. Roma, che sempre subì il fascino di quella cultura, con spirito di emulazione s’inventò anch’essa periodiche competizioni agonistiche, che pure richiamavano atleti da ogni parte dell’Impero; ma non arrivò mai a riprodurre lo spirito e il messaggio di pace delle antiche Olimpiadi, questo evento unico nella storia dell’umanità, in quanto occasione, per popoli rivali in lotta fra loro, di gareggiare fianco a fianco azzerando – sia pure momentaneamente – ogni ostilità. Niente da fare: il popolo romano preferì sempre al lancio del giavellotto o alle corse a staffetta, e perfino alla lotta, i sanguinosi spettacoli negli anfiteatri e le corse dei cavalli nei circhi. Accanto a capolavori della statuaria classica, posso ammirare vasi, mosaici, attrezzi del gioco insieme ai corredi atletici completi delle tombe di Lanuvio e di Vulci lungo un percorso illustrativo di grande eleganza e leggibilità, capace d’introdurre anche i meno addetti nello spirito di una civiltà, quella greco-romana, da cui è nata la nostra odierna. Ricorrenti poi, in una mostra a lei intitolata, sono le immagini di Nike, Vitto- ria, l’eterea dea alata dai veli fluttuanti pronta a incoronare il vincitore del momento. Che però ogni vittoria non si raggiunga senza duri sforzi e sacrifici ce lo ricorda con impressionante efficacia uno dei bronzi più famosi dell’antichità: il Pugile delle Terme, colto nel riposo dopo il combattimento, la testa tumefatta e sanguinante voltata di lato come a chiedere silenziosamente la solidarietà di qualcuno. Preludio alle Olimpiadi che nel 2004 si svolgeranno ad Atene, la mostra ci ricorda anche che l’importanza rivestita nel mondo moderno dall’esercizio fisico e dalla competizione leale, al pari di altre attività intellettuali, hanno radici antiche, in quella Grecia classica dove l’uno e l’altra erano considerati elementi essenziali della formazione dell’individuo, anzi un vero programma morale. Che era poi quanto si augurava il barone de Coubertin quando volle risuscitare nell’età moderna quei Giochi quadriennali. Gianfranco Restelli Nike. Il gioco e la vittoria. Roma, Colosseo. Fino al 7 gennaio 2004. (Catalogo Electa)

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