Niente da fare. Tutto da fare

Non è (solo) l’affanno delle troppe cose da fare a stremarci ma anche la prospettiva di averne sempre meno.
Un ragazzo in bicicletta

Ci mettono alle corde le situazioni di stallo, l’incertezza che si perpetua, il susseguirsi delle scosse di terremoto, svegliarsi al mattino e non sapere come impiegare la giornata, il protrarsi di una malattia che sembra metterci fuori gioco. Non è (solo) l’affanno delle troppe cose da fare a stremarci ma anche la prospettiva di averne sempre meno.
Oggi in tanti si svegliano al mattino di una giornata priva di impegni, di senso, di prospettive. Quei piccoli gesti quotidiani che un tempo li accompagnavano, come vestirsi, bere un caffè di corsa già leggendo le notizie su Internet, avere il tempo impegnato e scandito da attività… improvvisamente lasciano il posto al vuoto e al vago.

Mario ha 40 anni, la mattina accompagna i figli a scuola, li bacia e li saluta come fanno tutti gli altri padri, poi riprende la strada di casa e si prepara a vivere una giornata tutta da inventare tra piccole commissioni, la ricerca di un lavoro che non si trova, l’attesa che venga sera. Gli dicono che è troppo vecchio per trovare un nuovo lavoro. In realtà è troppo giovane per smettere di cercarlo: rinunciarvi equivarrebbe a smettere di vivere.

Il vuoto è per tutti difficile da gestire. Fin da bambini ci siamo abituati a pensare che siamo “quello che facciamo” e che siamo “il modo in cui impegniamo il tempo”. Spesso la professione e le agende piene di impegni diventano la nostra seconda pelle. Così chi si trova improvvisamente a uscire dalla corsa (o alla corsa non riesce neppure a prendere parte) è costretto a nascondersi, a ritirarsi, a celare il proprio malessere, a gestirlo come un problema privato.

La società non è benevola con i vinti e non ci sono “scuole” che ci attrezzano a gestire l’insuccesso, la caduta, la sconfitta come parte del gioco. Ci nascondiamo che questo tempo di transizione e di incertezza ci riguarda tutti, scuote e sovverte i nostri equilibri, richiede di essere metabolizzato. Come? Non ci sono ricette, né prospettive consolatorie.

È certo però che non possiamo arrenderci al vuoto. Reagire – in questo tempo avverso – è ostinarsi a credere che il sale della vita è nascosto nelle pieghe di ogni nostra giornata e può darle sapore. «È un piccolo “di più” che si offre in dono a tutti noi», scrive Françoise Héritier (Il sale della vita, Rizzoli, 2012). È l’incontro con qualcuno, una nuova intuizione, una passeggiata da soli, è coltivare qualche spiraglio di serenità, rimettere in circolo la creatività, sentire che c’è una grazia speciale nel solo fatto di esistere, un’energia sotterranea che continuamente si rinnova. E da cui possiamo sempre ripartire.

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