Nettuno la culla del baseball

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Il baseball ce l’hanno portato gli americani: lo sbarco, con i mezzi anfibi, è avvenuto proprio qui, sulle spiagge di Nettuno, a pochi metri da questo stadio, altro che ad Anzio! spiega Giampiero Faraone, tecnico della nazionale italiana di baseball. L’uomo che ha guidato gli azzurri alla qualificazione per Atene è un mite e sorridente pensionato tra i pensionati che giocano a carte nel bar dello stadio di Nettuno, il tempio del baseball in Italia. Nato e cresciuto in questa cittadina del Tirreno ha legato la sua vita alla storia di questo sport: qui ha giocato, qui ha allenato, prima dell’avventura azzurra. Una storia che ripercorre volentieri: Subito dopo la guerra i soldati cominciarono a giocare tra loro sulle spiagge, con i nettunesi che guardavano, senza capire nulla. Quando, nel ’48, costruirono il loro cimitero per i 7 mila morti che ebbero qui ed in Sicilia, fecero una squadra con gli operai che vi lavoravano, americani ed italiani insieme. Nel ’51 vinsero il loro primo titolo italiano. Negli anni seguenti vennero ingaggiati a giocare alcuni soldati americani della base di Bagnoli: con la leva obbligatoria ce n’erano anche di molto bravi. Qui – conclude con una punta d’orgoglio – sono venuti Bush, padre, e Clinton a celebrare il Memorial Day. Per Nettuno il baseball è un patrimonio storico, un emblema della città, 40 mila abitanti stabili, 100 mila in estate. Ruggero Bagialemani, dopo vent’anni come giocatore, siede sulla panchina del Nettuno. Una passione inesauribile la sua: Avevo 5 anni: per poter giocare mi fecero un cartellino falso. Faraone e gli altri del Nettuno erano i campioni d’Italia, dei miti per noi ragazzini che giocavamo a baseball ovunque, per strada, nei prati, sulla spiaggia. Uno stadio da 10 mila posti, voluto dalla società sportiva e dal comune è il degno… diamante (così si chiama il campo del baseball) di una disciplina che in città conta altri dieci impianti, venti club minori, con oltre 400 praticanti, e che ha conquistato 17 titoli italiani e 4 coppe dei campioni europee. Qui tutti i ragazzini, almeno una volta nella vita, hanno impugnato una mazza. E qui è viva la rivalità con la contigua Anzio, un sano campanilismo, vissuto con disinvolta superiorità: Il baseball da loro è cominciato dopo, negli anni Settanta – spiega Faraone -, con giocatori che non trovavano spazio a Nettuno. Nel ’79 Anzio vinse la prima partita con i cugini: Fu una giornata di lutto cittadino – ricorda Bagialemani che quel giorno, a 17 anni, sostituì i titolari infortunati – Il baseball rimane una cosa che appartiene a Nettuno: già lo sbarco ce l’hanno rubato, ma col baseball ad Anzio non c’entrano niente. Qui ce l’abbiamo proprio nel sangue – spiega Alberto D’Auria, veterano della squadra -. Ho cominciato a 8 anni e questo è il mio ventesimo campionato di serie A, ma non certo l’ultimo. Poi continuerò allenando, anche se soldi qui non ce ne sono mai stati: si gioca solo per passione, la stessa che ha preso mio figlio di 9 anni che ha già la mazza in mano. A Nettuno, a calcio giocano in pochi: dopo Bruno Conti non c’è più stato un campione. D’Auria si è preso grandi soddisfazioni: tre scudetti, capitano della Nazionale, tre Olimpiadi. Il baseball è stupendo, per noi ragazzi non c’è mai stato altro. Oggi invece occorrerebbe stare attenti a stranieri ed oriundi che tolgono speranze e spazio ai giovani italiani. Sorride, fra facce di colore che lo scrutano interessate. I migliori giocatori al mondo – spiega Faraone, illustrando il panorama del baseball mondiale – giocano nella Major League americana. Sono atleti statunitensi, molti con doppio passaporto: cubani, dominicani, canadesi, italiani eccetera. Ma per i club Usa il loro campionato è così importante che non lasciano liberi i giocatori per le nazionali, nemmeno per le Olimpiadi. Così i valori internazionali sono falsati: la Grecia si presenta ai Giochi con una squadra competitiva, nonostante nessuno pratichi questo sport in Grecia, solo perché un pugno di giocatori greco-americani ha ottenuto il nulla osta. Ad Atene si contenderanno il titolo: Usa, Giappone, Cuba e Taiwan, nazioni in cui il baseball è professionistico. L’Italia è subito dietro, nonostante da noi si giochi solo sei mesi l’anno, con tre partite in 24 ore ogni week-end, proprio per permettere agli atleti di studiare o lavorare durante la settimana. In campo femminile, il softball, possiamo addirittura nutrire speranze di medaglia. Quale il segreto di un livello così buono? Nel gene dell’italiano c’è il baseball – la sorprendente spiegazione di Faraone -: è uno sport fatto per l’italiano, dove ci vuole intelligenza, scaltrezza ed anche qualità atletiche. È un gioco intenso a livello mentale, dove si ragiona, si pensa, si studia come superarsi nelle fasi di gioco. Chissà cosa potremmo fare se giocassimo sei giorni su sette, come fanno gli americani, e se avessimo centinaia di migliaia di praticanti come in Giappone, invece degli nostri 25mil. Il baseball è ancora uno sport genuino – incalza Bagialemani – in cui vince il migliore, dove esistono ancora dei valori. Chi comincia a giocare non smette più. È uno sport di squadra dove il singolo è protagonista: da solo in battuta, da solo contro un lanciatore ed una squadra intera, è una delle cose più affascinanti che esistano. L’individualità è valorizzata, con statistiche personali che non ammettono scuse. Ed è uno sport carico di sfide: Hanno valutato – conclude Faraone – che battere una palla che arriva a 150 chilometri l’ora è considerata la cosa più difficile che esista in tutti gli sport.

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