Sfoglia la rivista

Firme > Penultima fermata

Nessuno tocchi (il giovane) Caino

di Elena Granata

- Fonte: Città Nuova

Alcune riflessioni dopo i fatti cronaca relativi al carcere minorule di Milano intitolato a Cesare Beccaria. Non esiste istituzione totale nel quale le dinamiche controllore-controllato non tendano a diventare perverse, dove nel tempo non si inneschino punizioni indebite, repressioni o rivolte, conflitti

Presidio davanti al carcere minorile Beccaria organizzato dal gruppo “Cambiare rotta”, Milano, 24 aprile 2024. ANSA/MOURAD BALTI TOUATI

Ho seguito con grande angoscia le notizie che nelle scorse settimane sono trapelate dal carcere minorile di Milano, il carcere della mia città, quello che porta il nome del milanese illustre Cesare Beccaria che, in nome dell’equilibro tra delitto e pena, scrisse nel 1764 il suo celebre saggio.

L’arresto di 13 esponenti della polizia penitenziaria, la sospensione di altri 8, con l’accusa di pestaggi e violenze contro i ragazzi detenuti nel carcere, lascia sgomenti.

Le immagini di quei pestaggi, di quei corridoi stretti e solitari, di quel sangue e di quei lividi impressi nella carne, e nell’anima di quei ragazzi, continuano a togliermi il sonno. Forse perché molti di quei ragazzi “a rischio” ho avuto modo di incontrarli da vicino, negli anni di accoglienza in casa di minori stranieri non accompagnati, vedendo quanto sia sottile il confine tra salvarsi e sommergere. Di qua o di là, delinquente o redento, il passo è breve.

Al Beccaria sono detenuti 82 ragazzi, di questi solo 11 hanno ricevuto una condanna definitiva, mentre gli altri sono in custodia cautelare, in attesa di processo. La gran parte di loro è stata arrestata per detenzione di sostanze stupefacenti, altri per furti e rapine ai danni di coetanei. Sono un sesto dei circa 500 minori reclusi in tutta Italia, secondo i dati dell’associazione Antigone, il numero più alto degli ultimi 10 anni. La metà di loro sono stranieri.

Cinquecento ragazzi per i quali non siamo arrivati in tempo, che si sono persi per strada, tra le comunità minori e la legge della strada, tra percorsi duri di immigrazione e il sogno di un benessere che possono solo “rubare” ai loro coetanei più fortunati; 500 ragazzi per i quali non riusciamo a pensare altro che una reclusione in attesa di giudizio, anche quando i reati sono minori.

Torno in quei corridoi, in quelle stanze dove al rancore e alla frustrazione della prigionia si è aggiunta una relazione spesso difficile con le forze di polizia, la presenza di pochi educatori, l’assenza di spazi aperti, di natura.

Non esiste istituzione totale nel quale le dinamiche controllore-controllato non tendano a diventare perverse, dove nel tempo non si inneschino punizioni indebite, repressioni o rivolte, conflitti. Un contesto chiuso all’esterno trasforma l’indole delle persone, le consuma, le spinge verso modalità repressive. Il carcere ammala, il carcere stravolge, il carcere esaspera. Ci saranno altri modi, altre strutture possibili, altri percorsi di recupero possibili? Un’idea di giustizia che consente di riparare al danno, ma anche di riparare l’anima dei ragazzi più fragili?

Beccaria scrisse chiudendo il suo trattato, «perché non sia violenza di uno o di molti contro un privato cittadino» e la pena sia «la minima delle possibili nelle date circostanze, proporzionata a’ delitti, dettata dalle leggi».

Riproduzione riservata ©

Sostieni l’informazione libera di Città Nuova! Come? Scopri le nostre riviste, i corsi di formazione agile e i nostri progetti. Insieme possiamo fare la differenza! Per informazioni: rete@cittanuova.it

Condividi

Ricevi le ultime notizie su WhatsApp. Scrivi al 342 6466876