Nella quarta dimensione

C’era una volta Flatlandia, la terra piatta, a due dimensioni. Malgrado i loro guai – perché i guai ci son dappertutto – era un bel mondo: c’erano i Parallelogrammi molto sottili (le donne), i Triangoli (gli operai), gli Equilateri (la borghesia), i Quadrati (i professionisti), gli Esagoni (ovviamente aristocratici!) ed anche i reverendi Cerchi. Un bel giorno, mentre un rispettabile Quadrato festeggiava il Capodanno con gli amici, ricevette una visita sconvolgente… gli piombò in casa una lontana parente: una Sfera! Tutti rimasero a bocca aperta. Cos’era quella cosa… tridimensionale? Passato lo choc, però, gli abitanti di Flatlandia capirono che girando, ribaltandosi, potevano loro stessi creare figure meravigliose: cubi, parallelepipedi, piramidi. Scoprire la terza dimensione, aveva aperto a loro i cancelli di un nuovo mondo. Questa fiaba la scrisse il reverendo Edwin Abbott, che dirigeva una scuola nell’Inghilterra vittoriana. Forse Abbott era lontano dal pensare che pochi anni più tardi una nuova Sfera sarebbe arrivata a sconvolgere e affascinare le menti tridimensionali: la Relatività. Era il 1905, cent’anni fa. Un tedesco di 26 anni, Albert Einstein, laureato al Politecnico, era impiegato all’Ufficio brevetti di Berna come esperto tecnico di terza categoria. Impiego sicuro e poco impegnativo ottenuto con la raccomandazione del padre di un amico, il matematico Marcel Grossmann. E lì, fra le scartoffie di quell’ufficio, ebbe il modo di studiare, pubblicare lavori e approfondire le sue idee sulla fisica. In giugno e settembre di quell’anno memorabile, Albert pubblicò articoli scientifici fondamentali, tra i quali i due che introducono la teoria della Relatività ristretta. Una scoperta sensazionale che, da allora, rivoluzionò il modo di concepire la realtà. Al mondo bidimensionale era comparsa la Sfera! Ma cosa aveva compreso Einstein? Che il tempo, che a noi appare assoluto, misurabile con un orologio, scorrere in modo regolare, indipendente e uguale per tutte le cose comunque si muovano tra loro… così uguale per tutti non lo era! Anche il tempo era relativo. Accanto alle tre dimensioni dello spazio, si concepiva così una quarta dimensione intimamente legata alle altre, per formare lo spazio-tempo. Einstein aveva compreso che l’unica grandezza assoluta, invariabile, era la velocità della luce. Ovviamente gli effetti della Relatività non sono apprezzabili nel nostro mondo macroscopico: ma se fossimo delle particelle sub-atomiche, e viaggiassimo alla velocità della luce (300 mila chilometri al secondo, cioè circa 1 miliardo di chilometri/h, altro che aerei superso- nici!) ci accorgeremmo che i nostri orologi non segnerebbero quasi mai la stessa ora. Potremmo addirittura vedere il tempo scorrere all’indietro e… ringiovanire! Negli anni successivi Einstein ampliò la sua scoperta e arrivò a formulare la teoria della Relatività Generale, che dai giochi delle particelle subatomiche si espandeva sulle leggi che regolano l’universo. Già Newton e compagni avevano compreso che tutte le masse si attraggono fra di loro. Ma questa attrazione, impercettibile per masse piccole come le nostre, è invece determinante per le grandi masse che si muovono nel cielo stellato. Essa spiega le orbite dei pianeti, la forza che ci tiene legati al suolo, il meccanismo delle maree e lo schiacciamento della terra ai poli. Anche a questo campo Einstein applicò gli effetti dello spaziotempo, formulando una teoria d’una sorprendente bellezza logica, e di enorme importanza per l’astronomia. Certo non è facile, da profani, comprendere questi concetti. Ma lo stesso Einstein diceva che non si è veramente capito qualcosa, finché non si è in grado di spiegarlo alla nonna. Così, con una battuta, azzardò egli stesso una sintesi della teoria della Relatività: Quando un uomo siede un’ora in compagnia di una bella ragazza, sembra sia passato un minuto. Ma fatelo sedere su una stufa per un minuto e gli sembrerà più lungo di qualsiasi ora. Questa è la relatività. Ma chi era questo Einstein che arrivò a sconvolgere così radicalmente il modo di concepire la realtà? Un tipo complesso, semplice e ingenuo allo stesso tempo, come molti geni. Da bambino aveva difficoltà a scuola con la lettura e scrittura: i suoi maestri lo ritenevano un po’ ritardato, molto probabilmente era dislessico come molti altri geni, Walt Disney e Leonardo per citarne due. Come molti altri geni, Einstein era ebreo, ma la sua famiglia era poco attaccata alla tradizione religiosa. Come molti matematici amava la musica e suonava il violino: ma non doveva essere un gran talento, tanto che al dire di Chaplin era insopportabile quando si ostinava a esibirsi con lo strumento nelle serate tra amici. Era insofferente verso ogni sorta di autoritarismo scolastico, forse per l’atmosfera libera e tollerante che aveva assaporato nella vita famigliare. A 12 anni, dopo la lettura di uno stralcio degli Elementi di geometria di Euclide, ebbe una folgorazione: La chiarezza e la certezza logica del suo contenuto mi fece un’impressione indescrivibile. Fu uno dei primi segni della sua vocazione scientifica. Però Albert non amava la scuola e soffriva la preparazione degli esami universitari, che riuscì a superare anche grazie all’aiuto dell’amico Marcel Grossmann. Non godeva di grande salute: dopo la laurea, ebbe bisogno di un anno di quasi completa inattività per riprendersi dal grande sforzo compiuto; per i piedi piatti e le vene varicose fu esonerato dal servizio militare; ebbe spesso collassi dovuti a esaurimento; gli fu diagnosticato un ingrossamento del cuore e dovette stare a letto per quattro mesi. Non amava lo sport. Si sposò con Mileva, una compagna di università, da cui ebbe tre figli. Poi Albert divorziò e si risposò con la cugina Elsa. Fervente sostenitore del pacifismo sovranazionale e della causa ebraica, il suo non era un pacifismo ideologico o di partito, piuttosto un genuino orrore per ogni forma di odio e crudeltà. Era un convinto antimilitarista e non esitò a rifiutare la cittadinanza prussiana per evitare il servizio di leva: si trasferì in Svizzera, restando alcuni anni apolide. Sottoscrisse con Gandhi e altre personalità un appello contro la coscrizione obbligatoria. Einstein spesso usciva dall’ambito scientifico per prendere pubblicamente posizione su temi controversi senza preoccuparsi di andare controcorrente; si ispirava al buon senso e a robusti princìpi morali, anche se non religiosi, conditi con una salutare dose di ebraico umorismo. Per una strana coincidenza del destino, fu proprio lui, il pacifista Einstein, a firmare la lettera al presidente americano Roosevelt in cui si sottolineavano le implicazioni militari dell’uso dell’energia atomica. A seguito di quella lettera ebbe inizio il Progetto Manhattan per la costruzione della bomba atomica, poi sganciata sulle città giapponesi. Ho fatto un errore nella vita – e dirà spesso – quando ho firmato quella lettera al presidente Roosevelt chiedendo che venisse costruita la bomba atomica. Ma si giustificava affermando che essa non era sorta come strumento di distruzione, ma di dissuasione: era infatti opinione comune che Hitler sarebbe riuscito a realizzare un’arma atomica, per fare della razza ariana la padrona del mondo. L’atomica continuerà a turbare la sua coscienza. Non so con quale arma si combatterà la terza guerra mondiale, ma la quarta si combatterà con la clava: dirà per affermare le sue preoccupazioni per i possibili sviluppi degli armamenti nucleari ai quali aveva indirettamente contribuito con la teoria della Relatività. Il suo pacifismo col tempo si fece più pragmatico e, data l’indiscussa presenza del male sulla Terra, arrivò a riconoscere alla bomba atomica un effetto deterrente in grado di rendere più difficile un nuovo conflitto mondiale. A un amico scienziato giapponese scrisse: Non sono pacifista in assoluto, ma sono stato sempre un convinto pacifista. Questo significa che ci sono circostanze in cui è necessario usare la forza… Questa circostanza si presenta quando c’è un nemico il cui scopo incondizionato è distruggere . D’altra parte, nel 1955, diede l’assenso alla comparsa del suo nome sotto un manifesto che invitava tutte le nazioni a rinunciare alle armi nucleari. Nell’aprile di quell’anno fu ricoverato in ospedale per la rottura di un aneurisma aortico, in seguito alla quale morì. Einstein non praticava alcuna religione. Ma era animato da una religiosità istintiva e profonda che lui definiva cosmica, uno stupore scientifico di fronte all’armonia del creato, che lo portava a dire: La più bella sensazione è il lato misterioso della vita. È il sentimento profondo che si trova sempre nella culla dell’arte e della scienza pura. Chi non è più in grado di provare né stupore né sorpresa è per così dire morto; i suoi occhi sono spenti. L’impressione del misterioso, sia pure misto a timore, ha suscitato, tra l’altro, la religione. Sapere che esiste qualcosa di impenetrabile, conoscere le manifestazioni dell’intelletto più profondo e della bellezza più luminosa, che sono accessibili alla nostra ragione solo nelle forme più primitive, questa conoscenza e questo sentimento, ecco la vera devozione: in questo senso, e soltanto in questo senso, io sono fra gli uomini più profondamente religiosi.

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