Nel caos di Venezia per fortuna c’è il cinema

Nell’atmosfera grigia del Lido di Venezia si gira da tempo lo stesso film. Si alternano i registi, gli attori, si adeguano le scene (le comparse – pubblico, critici, addetti ai lavori – invece sono gli stessi) ma la trama non cambia. Anzi, come accade nei sequel, peggiora. Polemiche e confusione quest’anno, più che in passato, hanno regnato sovrane, mentre sullo sfondo, nel buio delle (poche) sale prese d’assalto da migliaia di appassionati, i film restavano i baluardi di una manifestazione che dovrebbe rappresentare la loro festa più importante. Tutto ciò non ha certo aiutato una manifestazione che già da qualche anno mostra i segni di un preoccupante declino, anche artistico, che il rivale Festival di Cannes è riuscito invece a mascherare, almeno fino all’anno scorso, con maggiore abilità. Così, dopo la fallimentare edizione andata in scena sulla Croisette questa primavera, erano in molti a sperare che la rassegna veneziana fosse quella della svolta e del definitivo rilancio. Il triste epilogo, invece, ha visto infuriare le polemiche per come la giuria ha trattato il film di Bellocchio, con il regista piacentino che si è rifiutato di ritirare un magrissimo premio di consolazione “perché non mi rappresenta ” e la stizzita Rai, produttrice del film, che in un impeto di rabbia autolesionista ha deciso di non portare più film in concorso a Venezia “perché non tutela il cinema italiano”, rischiando in questo modo di penalizzare proprio il cinema italiano che si vorrebbe difendere. Insomma, una brutta storia che ha messo in ombra una selezione che, pur senza brillare per audacia – specialmente in concorso, dove era presente una sola opera prima (tra l’altro premiata con il Leone d’Oro) – ha tracciato una mappa significativa e, tutto sommato, soddisfacente del cinema contemporaneo. Il Leone d’oro a Il ritorno, dell’esordiente russo Andrey Zvyagintsev, premia un film molto bello, anche se privo di audaci innovazioni e non particolarmente brillante per vivacità espressiva. Un classico film “da festival”, insomma, incentrato sul ritorno a casa di un padre dopo oltre dieci anni di assenza e sul viaggio che compie insieme ai due figli. Il regista indaga con sorprendente acume psicologico il rap- porto fra i tre, a partire dal quale costruisce una riflessione che, dal rapporto genitori- figli, si allarga alla condizione umana, conferendo al film quel tratto di universalità che forse ha convinto i giurati della Mostra. Un’universalità che difettava sicuramente a Buongiorno, notte, il film di Marco Bellocchio focalizzato su una vicenda tutta italiana, un fatto che certamente non lo ha aiutato in una giuria composta per cinque settimi da stranieri. Il film, infatti, ci racconta della prigionia di Aldo Moro, ispirandosi al libro Il prigioniero della brigatista Anna Laura Braghetti, che in quei 56 drammatici giorni fu la “vivandiera” del covo di Via Montalcini. È un bel film in cui Bellocchio, con il suo tipico rigore, va dritto al cuore degli eventi, facendoci vivere da vicino il dramma di un uomo, Moro, solo e disperato, ma aggrappato ostinatamente alla propria dignità, e la tragedia dei suoi carcerieri, prigionieri di loro stessi e dei propri deliri. Il regista che indaga i fatti partendo dall’intimo dei personaggi rinchiusi nelle quattro mura del covo brigatista per allargarsi sulla società e sconfinare infine nel sogno a occhi aperti: la scena finale, in cui egli immagina Moro uscire dalla sua prigione e incamminarsi all’alba verso casa, è uno dei momenti di cinema più emozionanti e liberatori visti al Lido quest’anno. Sorprende come sempre Takeshi Kitano, Leone d’Argento, che con Zatoichi mette in scena la sua personalissima rilettura dei classici del cappa e spada del sol levante attraverso le gesta del samurai cieco del titolo, ma giocando a mischiare le carte con un finale in puro stile musical. Tra i film non in concorso è da menzionare il piacevole Schultze gets the blues di Michael Schorr, dove un anziano ex minatore scopre il blues e dalle remote lande della Germania orientale parte con la sua fisarmonica alla volta delle paludi della Louisiana. Molto interessanti anche altre proposte giunte da lontano: Vodka Lemon del regista curdo iracheno Hiner Saleem sulla difficile situazione armena, l’argentino La quimera de los heroes su una squadra di rugby aborigena e il suo allenatore, mentre in 15 il regista Royston Tan mette in scena un crudo, desolante ritratto dell’adolescenza perduta di un gruppo di quindicenni a Singapore. Sono da segnalare, tra i tanti film fuori concorso, le positive (una volta tanto) presenze hollywoodiane. Innanzitutto il film dei fratelli Cohen, Prima ti sposo poi ti rovino, una commedia geniale, brillante e ironica in cui si ride, finalmente, senza pregiudicare l’intelligenza a cui si affianca, sorprendentemente, Ridley Scott che con Il genio della truffa realizza un film di genere godibile e originale, che si distanzia anni luce delle sue ultime, mediocri fatiche da regista. Per rimanere in terra statunitense, Scena da statunitense, al Lido sono passati anche quattro dei sette film sul blues prodotti da Martin Scorsese, girati da Mike Figgis, Marc Levin, Richard Pearce e dallo stesso Scorsese. La buona notizia, perché sono tutti molto belli, è che nei prossimi mesi verranno tutti distribuiti nelle sale italiane. Da segnalare, nella sezione Controcorrente, L’amore tradotto di Sofia Coppola la quale, nel descrivere una sommessa e inquieta non-storia d’amore tra due “turisti per caso” americani nello straniante scenario postmoderno di Tokyo, dimostra di aver aggiunto al suo innegabile talento, una grande dose di maturità e sensibilità. Per quanto riguarda il cinema italiano, ci sono buone notizie, anche se le migliori provengono da registi già in qualche modo affermati, mentre il cinema giovane segna un po’ il passo. Oltre a Bellocchio, vale la pena di ricordare il successo di critica e pubblico che hanno fatto registrare Ciprì e Maresco con Il ritorno di Cagliostro, la controversa rilettura del ’68 di Bernardo Bertolucci ne I sognatori, la buona impressione che hanno lasciato gli altri due film italiani in concorso, Il miracolo di Edoardo Winspeare e Segreti di stato di Paolo Benvenuti. In conclusione, i film sono riusciti da soli a tenere in piedi una Mostra deludente sotto ogni altro punto di vista. Speriamo in un futuro migliore.

I più letti della settimana

Mediterraneo di fraternità

La forte fede degli atei

Edicola Digitale Città Nuova - Reader Scarica l'app
Simple Share Buttons